Avere vent’anni: EDGUY – Vain Glory Opera

Se il 1997 fu l’anno della rinascita del power metal, il 1998 fu l’anno del consolidamento. Gruppi come Angra, Gamma Ray, Stratovarius o Rhapsody avevano aperto la strada, ricordando non tanto sommessamente che il power metal esisteva e, guarda un po’, spaccava pure; l’anno successivo si aprì simbolicamente con l’uscita di Vain Glory Opera a gennaio, che fece gridare al miracolo praticamente chiunque, consacrando gli Edguy come nuova promessa del genere e iniziando una corsa all’adulazione di Tobias Sammet, che tutti giuravano sarebbe stato uno dei leader della nuova generazione del metal del terzo millennio insieme a gente tipo Alexi Laiho, Jesper Stromblad e pochi altri.

Come sappiamo, non è andata proprio esattamente così. Peraltro Vain Glory Opera non è neanche il migliore degli Edguy, che avevano fatto di meglio prima e faranno di meglio successivamente. Però aveva dei tocchi di classe mostruosi, tipo il giro di tastiere nella titletrack con relativo ritornello, che se le docce dei metallari potessero parlare chiederebbero pietà per quante volte l’hanno sentita. La fortuna del disco, comunque, oltre al perfetto tempismo nell’essere arrivato nel momento giusto, è stata la sua freschezza. Quello degli Edguy era un power metal che univa un innato senso per la melodia ad un’attitudine sbarazzina, ironica, disincantata e lontanissima dagli eccessi fantasy che all’epoca sembravano una caratteristica necessaria per ogni gruppo power esordiente. Gli Edguy invece si prendevano pochissimo sul serio, e forse fu questo uno dei motivi che spinsero in molti a vederli come legittimi successori degli Helloween: un’opinione condivisa evidentemente anche dai mostri sacri Timo Tolkki ed Hansi Kursch, all’epoca all’apice della propria parabola, che si precipitarono a partecipare a questo attesissimo terzo disco di Sammet e compari. 

In un’era in cui il genere sembrava inscindibile dalle spade e dai dragoni, questi quattro ragazzini di Francoforte suonavano musica semplicemente per divertire, e divertirsi. Non dimenticando peraltro le radici tedesche, come dimostra il riffone di No More Foolin’, che sarebbe stato fuori posto nella maggior parte degli album analoghi del periodo, e che qui fa una gran figura. Subito dopo, la cover degli Hymn degli Ultravox, una scelta perfettamente in linea con lo spirito del disco, e un risultato a metà tra il pecoreccio e l’epico altrettanto perfettamente in linea con lo spirito della band.

Vain Glory Opera non è, come detto, il migliore degli Edguy; una palma che a mio parere si contendono il debutto Savage Poetry ed Hellfire Club, l’album della maturità. Però è un gran disco, con dei pezzi che non hanno mai smesso di esaltare: l’apertura Until We Rise Again, una frociata in doppio pedale migliore di quasi tutte le altre frociate in doppio pedale poste in apertura dei dischi power di quei tempi; le cadenzate How Many Miles ed Out of Control; poi Fairytale, uno dei loro pezzi migliori di sempre se non fosse per un ritornello un po’ cretino; Walk on Fighting, che esplicita tutta la passione di Sammet per l’hard rock melodico ottantiano, poi definitivamente esplosa con il progetto Avantasia. E ancora la citata Vain Glory Opera, col suo giro di tastiere definitivamente impresso nella mente di chiunque l’abbia sentito almeno una volta. Peccato solo per le terrificanti ballate Scarlet Rose e Tomorrow, e infatti i due dischi citati sono i loro migliori anche perché lì le ballad erano Forever e Roses to No one, e non queste due cose qui. Ad ogni modo, credo che per la scelta del pezzo da mettere in chiusura dell’articolo non ci siano dubbi. (barg)

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