Riecco Uwe Lulis in ACCEPT – The Rise Of Chaos

Gli Accept sono una delle realtà dell’heavy metal che preferisco in assoluto. Ricordo che quando ero ragazzino ricevetti da mio zio una musicassetta strapiena di ballad e brani di punta di Scorpions, Deep Purple, Def Leppard e altre ottime cose uscite solo ed esclusivamente negli anni ottanta. Ed erano tutte quante band europee fino a che, arrivato in fondo, non potei non notare una seconda cosa: la potenza smisurata del gruppo di Udo Dirkschneider. Non ho mai saputo se quella compilation fosse farina del suo sacco, o se l’avesse semplicemente ricevuta da qualcun altro; ma trovai un bello scherzetto abituare l’ascoltatore a tre quarti d’ora di personaggi raffinati come Ritchie Blackmore, per poi stroncargli l’osso del collo con la classicissima Fast As A Shark. Non c’entrava proprio niente, ma soprattutto ero soltanto un giovane a cui piaceva il rock e che, conoscendo a malapena i Metallica, non avrebbe potuto rimanere indifferente a quel manifesto totale di un genere musicale pressoché ignoto.

Fu amore, da subito, e successivamente arrivai ad apprezzare perfino il contestatissimo Eat The Heat in cui trovai fuori luogo, più che lo stile patinato che gli Accept avevano adottato in quell’occasione, proprio il povero David Reece. In linea di massima apprezzo tutta la loro discografia senza stravedere per i primi due, e faccio molta fatica a digerire gli album con Udo che seguirono Objection Overruled. Russian Roulette è probabilmente il mio preferito, e conclude una serie di quattro lavori ognuno più bello del precedente. Per questo mi sono avvicinato alla loro reunion con una diffidenza ai limiti dell’ingestibile, oltre al fatto che al primo impatto Blood Of The Nations non mi era proprio piaciuto. Ma i due album successivi mi hanno riportato sulla retta via, e fatto in fin dei conti apprezzare perlomeno in parte perfino quell’ uscita del 2010 in cui – all’epoca – avevo sbavato solamente per Teutonic Terror

Adesso c’è pure Uwe Lulis, uno che è uscito dai Grave Digger i quali – da quel momento – hanno finito per perdere molta della loro magia – nonostante la sua sostituzione fosse avvenuta con un’istituzione del metal classico come Manni Schmidt (in forza ai Rage dei tempi che furono). Insomma, c’è tutto l’occorrente.

Nonostante ciò, The Rise Of Chaos mi piace un pelino meno dei suoi predecessori. C’è più atmosfera, più costruzione dei brani in funzione della riproduzione sul palco – con una vena hard rock assolutamente non solo accennata, sentire Analog Man per credere – ed una maggiore varietà all’interno della sua scaletta. Ma anche un minore assalto frontale a cui, a questo punto, stavamo come per abituarci. Il nuovo disco degli Accept è un pugno in faccia solo quando lo decide lui, ed anche in occasione della micidiale opener si ha una certa ricerca del crescendo e del pathos. Nella seconda metà cala anche un po’ e, una volta passato per le fantastiche Koolaid e No Regrets, riprende forza solamente nell’energico finale dopo avere svolto semplicemente il compitino per casa in più di un’occasione, come la veloce Carry The Weight con il suo ritornello anthemico e un po’ telefonato.

Nonostante la perdita per strada del chitarrista di Balls To The Wall, The Rise Of Chaos ci riconsegna un gruppo in forma e con le idee chiare sulla futura direzione da intraprendere. A questo punto, mi auguro che la collaborazione fra Lulis e Hoffman possa risultare duratura e portare alla luce cose di un livello degno di questo monicker. (Marco Belardi)

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