MORBID ANGEL – Kingdoms Disdained


Sono passati 14 anni da Heretic, 14 anni di completo silenzio in cui i Morbid Angel sono rimasti lontani dai palcoscenici, sollevando moltissime domande sullo stato di salute della band. Kingdoms Disdained risponde a tutti i dubbi in maniera perentoria: Trey Azagthoth e Steve Tucker sono sempre gli stessi, in tutti questi anni non sono cambiati di una virgola e il nome Morbid Angel è ancora sinonimo di death metal incontaminato, ortodosso e devoto ai Grandi Antichi. Sono in molti ad imitarli, a cercare di riprodurne le atmosfere, ma nessuno è mai riuscito davvero ad eguagliarli. Purtroppo Pete Sandoval non è più della partita, essendo passato dalle cliniche di riabilitazione alla frequentazioni di parrocchie di Cristiani Rinati, e questo, inutile nasconderlo, toglie parecchio alla riconoscibilità della band. A sostituirlo è stato chiamato il giovanissimo Scott Fuller (già in Havok ed Abysmal Dawn), per il quale non si può che commentare con uno scontato ottimo batterista, ma non è Pete Sandoval: Fuller cerca di riprodurre lo stile del suo illustre predecessore, che è però irriproducibile – e del resto la follia di Sandoval si esplicava nel suo modo di suonare la batteria così come nella sua storia personale, passata dall’eroina alle citazioni del Levitico su Facebook. Per il resto non manca nulla: si può ufficialmente dire che i Morbid Angel sono tornati, come se nulla fosse accaduto nel frattempo. 

Il giudizio estremamente positivo che ho del disco, paragonato a quello più tiepido di altri qui in redazione, deriva anche dal fatto che io ho sempre amato i dischi con Steve Tucker. A mio parere dopo Domination i Morbid Angel avevano di fronte a sé un bivio: proseguire sulla strada della sperimentazione, e nello specifico dell’idea particolare di sperimentazione che aveva uno stramboide come David Vincent, oppure essere un gruppo death metal; il più grande gruppo death metal di sempre, per la precisione, ed esserlo mantenendo la propria peculiarità ed esaltando le caratteristiche che li avevano resi unici in mezzo ad una pletora di gente che faceva a gara a suonare più veloce e tecnico possibile. Kingdoms Disdained è probabilmente anche meglio di Heretic, che era un ottimo disco penalizzato da una produzione incomprensibile: qui invece il suono è pieno, corposo, ben definito, anche se punta più a valorizzare il lato classicamente death metal della band invece delle sue sfumature morbose che l’hanno resa famosa. I due capolavori dell’era Tucker rimangono però Formulas Fatal to the Flesh e Gateways to Annihilation, tuttora insuperati e probabilmente insuperabili, in cui davvero si percepiva il lamento minaccioso dei Grandi Antichi: Kingdoms Disdained sembra quasi un album fatto per essere riprodotto dal vivo, e da quei due dischi mantiene la stessa distanza stilistica e concettuale che Louder Than Hell dei Manowar aveva da Triumph of Steel. Difficile biasimarli però, perché dopo 14 anni Trey Azaghtoth è ansioso di riprendersi il proprio scettro e tornare a guidare i festival estivi insegnando il death metal alle nuove generazioni come nessun altro può fare.

Il disco, come detto, è forse il più canonico mai fatto dalla band di Tampa. Le uniche cose davvero stranianti sono gli assoli di Trey, marchio di fabbrica del gruppo sin dai tempi di Altars of Madness, e che qui creano un contrasto netto con il resto della musica al punto da essere praticamente intercambiabili tra loro, senza alcun legame con la melodia principale. Raramente in Kingdoms Disdained vengono musicati i gorgoglii di Cthulhu come in Gateways, o le vibrazioni cosmiche di Azathoth come in Formulas. Death metal semplice, diretto, con ogni elemento al posto giusto: fosse uscito subito dopo Heretic probabilmente ne starei parlando in modo diverso, ma oggi, nel 2017, è tutta un’altra storia. Avevamo disperatamente bisogno dei Morbid Angel: abbiamo provato a sentire decine di imitatori, sperando che riportassero alla luce qualche scintilla degli originali, ma, come sempre accade, è il ritorno dei maestri ad emozionare davvero. Comprendo chi si aspettava di più, ma un disco del genere era esattamente ciò che speravo di ottenere. (barg)

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