Avere vent’anni: JUDAS PRIEST – Jugulator

Jugulator per me non è stato solo il nuovo disco dei Judas Priest, ma una lezione di vita. L’ho acquistato in estate a meno di un anno dalla sua uscita, in un centro commerciale di Cervia, tanto per sentire qualcosa in spiaggia. Quell’agosto -tra una partita di beach volley e un’altra, poichè il mare faceva schifo per la mucillagine- ci divertivamo a fracassare la beatitudine e le palle dei vicini di ombrellone soprattutto con il nuovissimo Diabolus In Musica. E ho odiato l’ultimo capitolo discografico di Tipton e Downing, con una negatività con la quale avevo affrontato poche altre uscite sino ad allora: perché?

Innanzitutto perché i Judas Priest sono per me, da sempre, un’istituzione. Sono la mia band heavy metal preferita insieme ai Black Sabbath, e con pochi altri come Venom, Mercyful Fate ed Accept rappresentano al meglio l’essenza del genere, pura, così come la vedi e la senti. Il mio incontro con Painkiller, chiuso in automobile mentre fuori imperversava una festa per un battesimo o una comunione e non ne potevo più, avvenne esattamente come avevo fatto con Reign In Blood. Ero solo in una macchina e stavo ascoltando non un CD appena acquistato, ma qualcosa che mi avrebbe sconvolto, perché non ero mai entrato in contatto con niente di simile. È così che arrivi ad accumulare discografie intere in un battibaleno: partendo da qualcosa che ti ha dato uno shock. Tralasciando inutili classifiche per dirvi quali loro album preferisco di loro, ma dicendo comunque che in cima metterei Defenders Of The Faith e che considero The Sentinel il migliore brano heavy metal realizzato, si arriva a Jugulator ed all’anno 1997. Il disco cambiò tutto, e sarebbe bastata la mancanza di Rob Halford a farlo. Tim Owens invece è uno di quei casi umani musicali a cui non so tuttora dare una spiegazione, visto che è capace di comparire nei dischi meno fortunati di svariate band famose, come appunto Judas Priest o Yngwie Malmsteen, ma resta e resterà sempre simpatico a tutti perché in fin dei conti, anche in situazioni tendenti all’imbarazzo, ha sempre fatto bene la sua parte.

Sono almeno dieci anni che ho saputo dare a Jugulator la sua reale importanza, guardandolo come quello che è, e non come il successore di Painkiller -firmato da una band capace nei decenni di scrivere capisaldi come Sad Wings Of Destiny o Screaming For Vengeance. Anzi, trovo quest’album in grado di suonare molto Judas Priest, nonostante la sua attitudine moderna avesse all’epoca richiamato i nomi di Pantera e Machine Head. Owens si adatterà allo stile di Halford più nel successivo Demolition, un vero tonfo anche a causa della sua eccessiva lunghezza, nonostante la presenza delle hit Machine Man e Bloodsuckers. Qui, invece, dovrà interpretare al meglio un cambio di rotta in direzione della pesantezza che già Painkiller lasciava più che intravedere, e sono più i sette anni di distanza da esso a lasciare interdetti, dato che in quel lasso di tempo il mondo del metal si era per sua natura rivoluzionato. Jugulator è stracolmo di canzoni ispirate: la titletrack funge da parapetto provando a emulare certi aspetti della apripista del 1990, ma il vestito stavolta è differente e la cosa funzionerà solo a metà, nonostante uno splendido Scott Travis. È Blood Stained la prima vera hit, col suo retrogusto quasi sabbathiano nel ritornello, mentre Death Row ci mostra i primi riff classici al 100%. Burn In Hell -con la quale avrei aperto le danze- e Brain Dead sono un’accoppiata da urlo, posta in un punto in cui un album dovrebbe cominciare a mostrare i primi segnali di cedimento; e la conclusione -affidata a Bullet Train e all’epica Cathedral Spires– è semplicemente da urlo. Cosa volete esattamente di più da Jugulator?

Vorrei poter ascoltare altri album come questo in cui il problema principale è rappresentato dal moniker stampato in copertina: considero Jugulator uno dei capitoli più ispirati mai partoriti dai Judas Priest e potrò solo pentirmi di non averlo saputo apprezzare da subito. (Marco Belardi)

Nota a margine: un articolo a sé stante lo meriterebbe la computer grafica adottata nella copertina, un disastro di pixel giganti che avrebbe dovuto portare la band ad assassinare colui che era stato commissionato, e presumo pagato, per realizzarla.

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