Avere vent’anni: IN FLAMES – Whoracle

Se The Jester Race è il disco senza dubbio più significativo e rappresentativo dell’importanza storica degli In Flames, è Whoracle quello che preferisco. Le motivazioni sono le solite: è stato il primo che ho ascoltato, l’ho letteralmente consumato nel walkman nei miei anni liceali, e conosco a memoria ogni sua nota. Non che non abbia una sua dignità autonoma rispetto al precedente: è con Whoracle che gli In Flames mostrano una propria personalità addirittura più strabordante rispetto a quella sentita in The Jester Race. Musicalmente non siamo molto distanti, in realtà, ma è una questione di dettagli e sensazioni, a volte impercettibili, altre molto meno.

Il riferimento stilistico fondamentale per capire l’album rimangono gli Iron Maiden. Sin dall’opener Jotun le chitarre dialogano, si inseguono, vanno all’unisono per poi rincorrersi di nuovo, intessendo trame melodiche più o meno complesse su cui si poggia tutto il resto. Jesper Stromblad continua nel suo momento di grazia: c’è lui dietro a ogni canzone, ogni riff, ogni intuizione. È suo il tocco folkeggiante sotteso che esplode esplicito qui e lì con gli arpeggi fiabeschi che, in quel momento storico, erano una delle caratteristiche precipue degli In Flames. Come The Jester Race, Whoracle è soprattutto un disco basato sulle chitarre; già dal successivo Colony le cose cambieranno, ma qui è la coppia d’asce Stromblad/Gelotte a rappresentare la vera identità del disco. È forse per questo che ho sempre considerato la strumentale Dialogue with the Stars, paradossalmente, come la più rappresentativa dell’album. O anche la cadenzata Jester Script Transfigured, in cui alle chitarre prende un vero e proprio delirio di onnipotenza tra arpeggi nelle strofe, armonizzazioni maideniane nel ritornello, quei meravigliosi break acustici e un assolo che ogni volta mette la parola fine al mio dilemma personale su quale sia meglio tra questo e The Jester Race

Whoracle è più incentrato sulla forma-canzone rispetto al precedente, e questo distacca ulteriormente gli In Flames dal canone del death metal melodico svedese che peraltro loro stessi avevano contribuito a fissare in modo definitivo. Anche i pezzi più canonici come Food for the Gods, The Hive ed Episode 666, pur ricollegandosi fortemente alla tradizione svedese, sembrano quasi canzoni di metal classico cantate in growl e con distorsioni un po’ più pesanti del normale. Forse la sola Morphing into Primal non ha alcuna velleità, nella sua grezza semplicità. Del resto Stromblad la fissa per il metallo ottantiano l’aveva sempre avuta: il progetto Hammerfall, di cui era appena uscito il debutto, era una sua creatura a metà con Oskar Dronjak, e questa sua passione traspare benissimo anche negli In Flames – quantomeno i primi In Flames – e in modo neanche troppo sottile.

Il quintetto svedese ha poi fatto di tutto per far dimenticare questo loro felice periodo iniziale, ma, per quanto ai lettori più giovani ciò possa sembrare assurdo, erano in pochi a fine anni novanta a saper intessere melodie chitarristiche come loro. A parte le canzoni sopracitate, basta anche solo sentire Gyroscope per rendersi conto di che potenza immaginifica avessero; pochi accordi aperti, il ritmo che rallenta, poi un brevissimo arpeggio, e nella testa dell’ascoltatore si apre un mondo intero. Se Lunar Strain e The Jester Race appartenevano al mondo folklorico, boschivo, naturale, da Colony in poi diventeranno un gruppo legato ad un immaginario urbano, o addirittura metropolitano. Whoracle sta nel mezzo, perfettamente a proprio agio tra le due sensibilità; per questo non ne parlerei come dell’ultimo della prima fase, ma come disco di passaggio. Come già detto per il precedente, se non l’avete mai ascoltato cercate di recuperare in giornata. (barg)

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