HELLFEST 2017 – 16/18 giugno, Clisson, Francia

“Brutte notizie, ragazzi, il volo è in overbooking.” Il tempo di processare l’informazione, un piccolo reset cerebrale di pochi secondi, cerco di mantenere un aspetto di calma esteriore ma se fossi un film con i sottotitoli la hostess avrebbe potuto ammirare una sequela di improperi, bestemmie, pianti, auguri di morte e tanto altro ancora. Per circa un’ora e mezza ci tengono sulla corda in attesa di non si sa bene cosa, poi al momento dell’imbarco ci viene data la conferma definitiva che non partiremo con il volo come previsto. E che l’Hellfest edizione 2017 potrebbe saltare, così. Perché i professionisti del settore non sanno contare quanti cazzo di sedili hanno su un aereo. Alla fine, dopo aver esplorato varie alternative, l’assistenza ci propone una soluzione che, date le circostanze, sembra accettabile. Imbarco il giorno successivo con arrivo previsto intorno all’ora di pranzo. In mezzo una notte all’Hilton a spese loro, cena offerta, mignotte pagate e tutto il resto. Di sicuro perderemo gli Helmet, forse anche i Red Fang ma rispetto alla possibilità di non arrivare proprio è una soluzione accettabile. Poi dice che ci daranno pure un rimborso “per il vostro disagio”, ma su questo ci credo poco. Fatto sta che venerdì 16 giugno intorno alle cinque di pomeriggio io, il Conte Max e il Sig. Pono (grande artista noto ai più come Rikky1) varchiamo i cancelli dell’inferno con l’obiettivo di metterci una birra in panza il prima possibile.

Venerdì

Come da previsione gli Helmet ce li perdiamo (tutto sommato poco male, li abbiamo visti poco tempo fa) ma siamo invece in perfetto orario per i Red Fang. E che inizio signori miei! La metamorfosi da gruppo caruccio e simpatico a band di un altro livello è completata. Oggi possono mettere insieme una scaletta che altri gruppi si sognano la notte, non un calo di tensione che sia uno, e non hanno manco fatto I Am A Ghost che la mia preferita dall’ultimo. Sono definitivamente convertito (che poi già lo ero) e la prestazione va diretta tra le tre migliori di tutto il festival. Energie ed entusiasmo subito alle stelle, quindi primo passaggio al merch e poi subito sotto al palco grande che ci sono i Ministry. Un vero sorpresone poiché non ricordavo che fossero parte del programma, anzi neanche sapevo esistessero ancora. Al Jourgensen fa tuttora abbastanza orrore a vedersi (è inteso come complimento) e il suo aspetto è sempre a metà fra lo scappato di casa e il fuoriuscito uscito da una comune di mutoidi anni ‘90. La voce c’è, la botta e i pezzi pure, non so se hanno un nuovo disco ma dal vivo, se vi capitano, andateci di corsa. La doppietta è servita e per suggellare il momento mi concedo un gelato confezionato al gusto di biscotti Oreo di cui conservavo tanti bei ricordi fin dallo scorso anno.
Dopo l’inizio scoppiettante quello che segue invece è una delusione prevedibile ma non per questo meno amara. Fra tutti i gruppi ultraclassici i Deep Purple sono tra quelli invecchiati peggio e ammetto che da quella volta che li vidi duettare insieme a ‘the maestro’ su Smoke On The Water a un Pavarotti & Friends un po’ gliel’ho giurata, e penso sia giusto così. Se forse posso accettare Jon Lord rimpiazzato da Don Airey causa morte, un Blackmore vivo rimpiazzato dal solito virtuoso de sto cazzo è per me intollerabile. Date le circostanze oggi sarei anche disposto a crederci un minimo se Gillan non si presentasse sul palco come uno che ha appena finito il chip butty e il tè nel giardino sul retro. Un minimo tocca anche far finta, quello che un tempo era il più potente degli urlatori è oggi un tipo da circolo bocciofilo e non fa nulla per nasconderlo. Il loro è un addio che arriva davvero troppo tardi. In piena coscienza mi perdo i saluti e i baci che di là ci sono gli Electric Wizard. Che poi pure lì non è che vada troppo meglio, non mi sembra più che il live sia un loro punto forte: troppo caciaroni, ogni volta ci vuole un’ora anche per riconoscere pezzi che uno sa a memoria. Meh. Non mi accanisco solo perché continuano a fare le magliette con le donne nude. Subito dopo inutile pure Rob Zombie: difficile riprodurre quel sound nella dimensione live, suona sempre spompatissimo. Lo mollo senza problemi che a mezzanotte al Valley ci stanno i Monster Magnet. E, ulallà, ullallà, qui si torna di nuovo su livelli altissimi, mi pare le prime quattro fossero Dopes To Infinity, Radiation Day, Powetrip e Look To Your Orb For The Warning, così giusto per renderci conto di cosa stimo parlando, il resto della selezione proposta non è da meno e – attenzione, attenzione – Wyndorf è pure magro, non dimagrito, magro proprio. Quasi bello. Imprescindibile l’acquisto della maglietta (fichissima) tanto più che sono da sempre una delle mie band del cuore e non ne ho mai avuta una con il loro logo. Date le traversie e la stanchezza io me ne andrei pure a casa ma il mio amico Pono (uno che è venuto all’Hellfest solo per mangiare, penso credesse fosse una convegno sullo street food) ha finalmente finito il tour dei porchettari e quindi ora ha deciso che si vuole vedere i Damned, lo show mi piace abbastanza, sono estremamente professionali e si sente benissimo. Esilarante il tastierista a metà fra Casaleggio e Gianfranco D‘Angelo. Con i polmoni e il naso pieni di polvere ci avviamo in albergo per il meritato riposo.

Sabato

Nulla di rilevante accade tra la notte e la mattina successiva, l’unico pensiero nella testa è il metallo, si ripassa il programma e si mette insieme un ipotetico piano d’azione. La proposta del sabato è sulla carta meno intensa degli altri due giorni ma sarà comunque una giornata ricca di soddisfazioni. Il caldo è allucinante ed in costante ascesa, nulla che riesca a fermare il solito manipolo di scalmanati che durante gli Zeke solleva l’ennesimo di quei polveroni che ti ritrovi incollati alle vie respiratorie e che ti lasciano in omaggio delle belle caccolone nere come souvenir. Intorno alle quattro di pomeriggio il Commando Ultras Alia si presenta compatto e puntuale all’appuntamento con l’amato rituale di sangue. Una vera sciccheria poter vedere i Blood Ceremony due volte nel giro di una sola settimana, non mi soffermo oltremodo sul gruppo perché se ne è parlato già abbastanza di recente. Mi limito a dire che lo spettacolo nonostante la durata ridotta, la minore atmosfera dovuta alla luce del giorno è comunque in linea con l’eccellenza alla quale ci hanno abituato, Alia è più aggressiva del solito e in un contesto più grande tira fuori una teatralità ancora maggiore. Cuoricini a pioggia. Alle ricerca di un po’ d’ombra ci vediamo quei cassamortari degli Skepticism e pure un po’ di Mars Red Sky ma non saprei dirvi molto. Secondo il running order originale toccherebbe agli W.A.S.P. ma Blackie Lawless ha avuto i tipici problemi che affliggono gli sfascioni della sua età e a sostituirlo è stato chiamato Dee Snider. Mr. Riccioli d’oro è forse uno dei più grandi frontman di sempre, tiene la folla in pugno, il suo set solista contiene molte scelte obbligate ma riserva anche qualche sorpresa (Head Like A Hole dei N.I.N.) e un omaggio a Chris Cornell (Outshined). Il punto più alto è ovviamente We’re Not Gonna Take It, l’inno nazionale dell’Hellfest va avanti ad oltranza in un coinvolgimento senza pari. Il rapporto fra questa canzone e il festival è qualcosa di difficilmente spiegabile. A seguire D.R.I. e Saxon. Questi ultimi fanno un concerto ricco di classici (su tutti 747 per la gioia dei miei due compari che l’avevano invocata a più riprese) ma un po’ scarso sul versante fischi alla pecorara a me tanto graditi. Momenti da ricordare: un tizio fa crowdsurfing in carrozzella e Biff gli dedica una Wheels Of Steel mai più appropriata. Chiudono con uno di quei momenti di burinaggine che sono la sintesi dei motivo per il quale amiamo il metallo: la canzone d’amore per una motocicletta.

Ninety tons of thunder
Lighting up the sky
Steaming red hot pistons
See the wheels flash by
Hear the whistle blowing
Streaking down the track
If I ever had my way
I’d bring the princess back one day

Questo è vero romanticismo. Una coincidenza che forse è un ammonimento, un segno di quello che sta per accadere: il momento galeotto.
Sto cercando di riprendere le forze trangugiando qualcosa seduto sulla panca quando la tizia che mi sta seduta accanto mi chiede che ora è. Provo a dire due numeri in francese ma l’articolazione dei suoni mi risulta difficoltosa, mi arrendo e le mostro il quadrante dell’orologio, la tipa mi ripete l’ora ad alta voce a mo’ di spiegazione, le faccio cenno di apprezzare il suo sforzo didattico, le sorrido e alzo il calice a Satana in segno di ringraziamento. A quel punto mi si avvicina ancora e mi chiede premurosa: “Ma l’hai visto quello?” Le rispondo che sì, l’ho visto. E poi ancora: “L’avevi mai vista una cosa del genere?” Sono costretto ad ammettere che no, non l’avevo mai vista una cosa del genere. In quel preciso momento capisco che abbiamo condiviso qualcosa di profondo e unico. Che poi sarebbe questo: un tipo era salito in piedi sul tavolo davanti a noi,  via i pantaloni e il culo bello in fuori, un amico suo gli versa la birra sopra in modo che scivoli tra le chiappe e poi giù fino alle palle dove venir raccolta in una bella caraffa per poi essere bevuta. La consapevole condivisione di tale momento è la nostra scintilla e da lì iniziamo a parlare e a fare canoscenza; e io da che non riuscivo ad articolare due numeri mi ritrovo a parlare in un francese fluente che manco Gustave Flaubert. Nel mezzo del flusso di parole mi gela annunciandomi che deve andare a vedere non so che gruppo, nel congedarmi però mi saluta con due bacetti sofficissimi sulla guancia e ho quasi l’impressione che le nostre labbra si sfiorino, la guardo allontanarsi tutta carina con la bandana in testa, il trucco da pin up e la maglia nera con la scritta A.C.A.B. In un’altra vita chissà cosa sarebbe potuto essere. E vabbè, la storia della mia vita.

Ancora pensoso mi vado a vedere i Primus, che però restano una di quelle robe che non capivo e continuo a non capire. Roba troppo da persone intelligenti per i miei standard. La gente invece apprezza e non poco, e anche io per una volta godo del loro piacere. A seguire mi concedo un paio di pezzi di Aero-Vederci, ma giusto due che devo andare a prendere posti per vedere il mio amico John Garcia. Quello che segue è uno dei concerti più belli dei tre giorni, forse il più bello. Tra tutte le varie cose rimesse insieme dal chicano negli ultimi anni questa degli Slo-Burn mi è sembrata la più seria di tutte, la band è in pallissima, il suono grasso e preciso. I pezzi nuovi di primo acchitto mi sembrano anche più belli quelli classici. Se queste sono le premesse quando l’album uscirà sarà un gran bel sentire. Grandissima prestazione, uno di quegli apici assoluti che invoca una birretta in più anche se nei hai già prese trecento. Perché quando si incontra la perfezione bisogna usufruirne al massimo. Sugli altri palchi ci sarebbero pure altre cose ma stiamo davvero tutti cotti e quindi con Mille Petrozza che ci strilla nelle orecchie cominciamo a prendere la via d’uscita.

Domenica

In un battere di ciglia siamo già al terzo giorno, Il baccanale è entrato nella sua fase finale. La rimozione della realtà è completa e lo scompiscio generale è già ad alti livelli dalle prime ore della mattina. Putrid Offal e Ultra Vomit sono divenuti nostri nuovi idoli pur senza averne mai sentito una nota o una scureggia. Arrivati ai sacri pascoli del metallo io finisco inghiottito nelle viscere delle terra nell’atto di essermi improvvisato parcheggiatore. Siamo alle gag da cinepanettone. A mantenere il livello di balordaggine ad alti livelli ci pensano subito gli Hirax, gruppo thrash della prima ora noti ai più per avere El Diablo Negro come cantante, concerto che fa sfoggio di quella fiera idiozia tanto cara al caro amico Rikky1 che infatti apprezza compiaciuto. Determinati a fare il pieno rischiamo la liquefazione per vederci tali Black Star Riders che pare fossero una delle ultime incarnazioni del nome Thin Lizzy anche se di storico credo ci sia solo Scott Ghoram. Abbastanza dispensabili, poi se mi tiri fuori i pezzi de core come The Boys Are Back In Town e la sempre incredibile Whiskey In The Jar vinci facilissimo. Gli Ufomammeta sono l’orgoglio italiano, fanno la cosa loro e la fanno bene, vedere una tale folla apprezzarli in tale maniera ci riempie il petto di pura fierezza italica. Qualche birretta a placare l’arsura e ci si ritrova sempre sotto lo stesso tendone per vedere i Pentagram. La notizia che Bobby Liebing è finito al gabbio per aver menato la madre (la quale si presume avrà 120 anni) spero l’abbiate sentita tutti perché è una di quelle cose che scalda il cuore. Certo questo comporta che il vecchio teschio con la parrucca non potrà essere dei nostri oggi. In fin dei conti il concerto non ne risente neanche troppo, in primo luogo perché Victor Griffin è un cantante eccellente e in un certo senso l’assenza di tutte le faccette da sporcaccione di nonno Bobby dà un ombra di maggiore serietà al tutto. Ora non voglio dire che siamo meglio senza, però cercate di capire che intendo. Comunque fichissimi. Senza tregua si entra nella zona caldissima con i Blue Öyster Cult; introdotti dalla musica di Games Of Thrones (?!?), si lanciano in uno sfoggio di classe senza pietà. Svariati classiconi, una Then Came the Last Days of May con una coda strumentale infinita è roba da sentirsi male. Forse è il caldo, forse la stanchezza, forse invece è solo il potere delle canzoni pop, fatto sta che su (Dont’ Fear) The Reaper arrivo molto vicino alla commozione, evito di lasciarmi andare sono solo perché da piccolino mi hanno detto che i bimbi grandi non piangono. Catartici. Servirebbe qualche minuto di riflessione ma dietro l’angolo c’è Anselmo con un gruppo nuovo e dall’altra parte questo oggetto misterioso che sono i Prophets Of Rage. Da quel poco che ho visto, nonostante l’idea sia una puttanata, lo spettacolo nell’insieme mi pare abbastanza fico. Si tratta per lo più di roba dei R.A.T.M. più un paio di cover di Public Enemy e Cypress Hill e una sorta di megamix di classici del rap. Forse è un po’ uno spreco avere due dei più grandi MCs di sempre per fargli interpretare roba di altri ma, insisto, nel complesso non è male: la band pompa, B-Real vestito da sceicco fa scena, Chuck D è Chuck D. In tutto questo trova doveroso spazio il più bel momento di tributo a Chris Cornell: una versione strumentale di Like a Stone che il pubblico canta con particolare trasporto. Mammamia che pezza. Va bene, ci siamo, tocca ai Clutch. Tirano su il telone con le marmitte, Burning Beard dà inizio al marasma, X-Ray Visions lo chiude e nel frattempo The Mob Goes Wild. Un nome una garanzia, poi se mi chiedete vi dico che lo show dell’altra volta resta qualcosa di inarrivabile, ma quelle sono pure cose che capitano una volta nella vita, frutto di circostanze non riproducibili. Però qui siamo ancora una volta a livelli da campioni del mondo, lo leggi nel sudore delle magliette e sulle facce della gente. Dopo questo ci sarebbero Emperor, Hawkwind e Coroner ma non è che uno può stare ovunque. Entro in modalità chiusura e mi godo la discesa verso il gran finale. Gli Slayer sono in forma scudetto e cacciano fuori una setlist disumana. Il Male assoluto. Tom Araya Is Our Elvis. Bla bla bla. Le solite iperboli, le solite cose vere. Se quindi il problema quest’anno erano gli headliner parecchio scarsi (a fronte del Valley più ricco di sempre) questo è invece il miglior saluto all’Hellfest possibile. Il concerto è talmente bello che ho deciso che farò un fioretto: per una settimana parlerò solo a grugniti e a qualsiasi domanda mi venga posta risponderò sempre e solo “SLAAAAYERRZZ”. Solleviamo tutti le corna al cielo per un ultima volta, Hellfest 2017: è stato un vero piacere. (Stefano Greco)

21 commenti

  • “Dopo questo ci sarebbero Emperor, Hawkwind e Coroner ma non è che uno può stare ovunque”.
    Vero, però perdersi tanta roba per quel che resta degli Slayer mi pare un pochino azzardato.

    P.s. Continuo a non capire come cazzo fate a essere talmente ubiquitari con i festival. O siete disoccupati cronici, o siete giovani (dentro) al punto di potervi sottrarre alle responsabilità dei comuni mortali. Mi fate invidia, comunque.

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    • Ti do un’altra possibilità (non sono chi ha scritto l’articolo). Uno lavora x 11 mesi 5 gg a settimana e si può permettere un paio di festival in un anno. Senza sottrarsi alle “responsabilità dei comuni mortali” ci sta poi la volontá di non rinunciare a una passione e non essere metallari solo a parole…

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  • Anche se i Deep Purple non fanno un disco carino da una vita, Blackmore è comunque più inconsistente di Steve Morse (che non è esattamente un “virtuoso de sto cazzo”) da circa trent’anni.

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    • guarda io li ho visti la settimana scorsa al Rock Fest a Barcellona e, oltre alle critiche a Ian Gillan che effettivamente pare sempre che arriva di corsa da una giornata in piscina, più che criticare Steve Morse che se n’è stato molto al suo posto, parlerei di Don Airey che ha passato due ore a rompere i coglioni con l’hammond, tra assoli infiniti, interludi e divagazioni pallosissime.

      Ah, 3 anni fa Gillan si presentò all’hellfest conciato così:

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    • uè, uè, non diciamo corbellerie, l’ultimo è un bel disco e anche quello prima non era male.

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      • Forse hai ragione. Fa piacere vedere che capiscono che è il caso di adattare le canzoni alla loro età e non viceversa, ma è roba inutile in ogni caso.

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      • carlo, quindi a te starebbe bene l’idea di un disco dei sabbath senza iommi solo perché carino?

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      • a me sembra che tu abbia un atteggiamento un po’ snob certe volte e te lo dice uno che in quanto a snobismo non si fa certo parlare dietro. probabilmente non lo ascolterei proprio un album dei Sabs senza Iommi. per i Deep Purple il discorso cambia, dai, è una vita che non c’è più Blackmore e ancora stamo a fa sti discorsi?

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      • io infatti è da quando non c’è più blackmore non li ho più ascoltati, quindi alla fine diciamo la stessa cosa. e non tiriamo fuori ‘come taste the band’ che è proprio un altro discorso.

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  • Amo questo sito però certe volte sulle band storiche si spara veramente a zero. Io credo che i Deep Purple allo stato attuale abbiano poco senso, però trovo ingiusto liquidare così Steve Morse.

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  • allora, tanto per chiarire. per me i deep purple senza blackmore equivalgono a dire i black sabbath senza iommi. ci puoi pure mettere maradona, mazingazeta o cristoincroce e mi sembreranno comunque solo gente passata di lì per sbaglio.

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  • Golf_mit_hansi

    Dave Wyndorf regna sovrano!!! L’ho visto assieme ai Ministry a Milano ed è inarrivabile…pure incontrato con foto…domina!!!

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  • Ma non potevi prendere il contatto di quella tizia e rivederla dopo il concerto?! O andare con lei a vedere il gruppo che voleva seguire?!

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  • sergente kabukiman

    clutch e mignotte francesi che ti danno i bacetti sulle guance. festival della vita se togliamo i red fang che reputo una merdina di band inutile e scialba.

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    • sergente, siamo entrambi talebani degli high on fire, supera questa cosa dei red fang perché sono davvero una cosa di cui andare fieri in un momento il cui il metallo non ci lascia troppe soddisfazioni.

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      • sergente kabukiman

        non ci riesco, giuro! anzi mi da pure più fastidio il fatto che senza i video simpatici no avrebbero avuto questo successo, per le nuove leve mi tengo stretto gli uncle acid, i pallbearer e gli high on fire appunto che per me saranno una nuova leva da seguire con interesse anche tra 35 anni. Ma non calco troppo la mano perché se el greco parla io posso solo ciucciarmi il calzino.

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      • ultima replica e poi la chiudiamo qui che altrimenti non se ne esce più. forse ne avevamo già parlato ma personalmente credo che alla base del loro problema di credibilità ci siano proprio i ‘videi sinpatici’ perchè se si facessero le foto con le facce truci invece verrebbero presi sul serio.

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  • Mi ha fatto piacere la menzione per i Prophets of Rage. Quando uscirono, guardando i membri della band, sembrava potessero essere un gruppo della madonna. Poi ascoltati i pezzi, si materializzò la paura che covavo: gruppo spento e pretenzioso, che sapeva che avrebbe venduto, solo per i nomi dei musicisti coinvolti.
    Mi fa piacere sentire, che almeno dal vivo rendono. Poi per la miseria, anche io avrei pagato per vedere quello strafattone scoppiato di B Real, vestito da sceicco. (la domanda poi è, perchèèè?????) Comunque, se fai un live in cui proponi i pezzi dei Public e dei Cypress, non puoi proprio fallire… Magari fuori contesto a un festival metal, ma sono quel intermezzo tamarro, che ti godi volentieri…

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