Only Ghosts: i RED FANG sono gente seria

1468370341269-ftjklcp0vk-86d51cc9a4bdaedef0abd7cb381666d1Al quarto disco il bilancio si può stilare: i Red Fang sono gente seria che fa estremamente sul serio e si meriterebbero un successo ancor maggiore di quello, non trascurabile, del quale godono ora. Dal vivo appariranno pure come quattro placidi bambacioni dell’Oregon ma devastano sempre tutto. Murder The Mountains, secondo full nonché esordio su Relapse, fece un botto tutt’altro che scontato ma giustissimo. Ogni pezzo, un singolo. Ricordo due concerti al Traffic completamente sold out con la gente spalmata contro le pareti e una notevole percentuale di pubblico femminile, in parte proveniente da quel giro rockabilly che a Roma era diventato abbastanza grosso due o tre anni fa. Non so da voi. La logica, quantomeno quella di cassetta, avrebbe voluto che i ragazzoni di Portland, città che ha prodotto alcuni dei nomi più interessanti della scena heavy metal degli ultimi dieci anni (su tutti, gli Agalloch), proseguissero su quella strada piaciona. Invece il successivo Whales and Leeches spiazzò tutti. In particolare, suppongo, le fanciulle rockabilly di cui sopra. A me pure lasciò un po’ interdetto. Un disco dalla scrittura più libera, quasi sperimentale. Un’intelligente volontà di rimandare il confronto con la loro opera più “commerciale” o il genuino desiderio di tornare a un sound più impetuoso e aggressivo? Only Ghosts fa propendere per la seconda ipotesi.

Only Ghosts è un po’ come certe tipe che, pur prive di una bellezza vistosa, sono di una sensualità tale che un loro sguardo basta a fartelo smuovere nei calzoni. Perché, restando nella metafora, in questi casi conta la personalità. E i Red Fang sono riusciti nell’impresa, in apparenza impossibile, di elaborare un sound originale e riconoscibilissimo nell’alveo di un genere basato principalmente sul riciclo dei vecchi album dei Kyuss (ché tanto là sotto stanno tutti scoppiati). Sono tutt’altro che i soliti quattro fattoni da due accordi ad libitum e pedalare. Dal vivo dimostrano una precisione e una tecnica individuale impressionanti. In studio sono arrangiatori più attenti e pignoli di quanto sembri, a seguire con attenzione la costruzione e le dinamiche dei pezzi. L’alternarsi di cantato quasi growl e quasi pop di Flies, i graffi post-punk, il modo di piazzare gli stacchi, l’impronta hardcore del batterista. Nessuno suona come i Red Fang. Rispetto al predecessore, del quale mantiene in parte la formula, Only Ghosts segna un’ulteriore regressione verso un suono più crudo e basilare. I ganci evidenti sono pochi, tanto che a un ascolto superficiale verrebbe quasi da dire che non ci sono abbastanza canzoni. Per poi finire a non ascoltare altro per giorni. Quando noi vecchi tromboni ci facciamo prendere dalle solite angosce millenaristiche in merito a “chi saranno gli headliner dei principali festival tra vent’anni”, quando le incanutite glorie che oggi ancora dominano i cartelloni saranno morte o in pensione, tendiamo a darci risposte piuttosto deprimenti: i Volbeat, gli Avenged Sevenfold, al massimo i Ghost. E perché non i Red Fang, dannazione? (Ciccio Russo)

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