Avere vent’anni: SENTENCED – Down

Down fu il disco della svolta dei Sentenced, quello che sparigliò le carte al punto da provocare una frattura nettissima tra le due parti della loro discografia. Causa prima ne fu, con ogni probabilità, la cacciata di Taneli Jarva e il conseguente arrivo di Ville Laihiala alla voce e Sami Kukkohovi al basso; che con Lopakka, Tenkula e Vesa Ranta costituirono la formazione classica dei Sentenced, rimasta invariata per tutto il decennio successivo, fino alla fine. Il cambio di rotta fu radicale al punto che, in un certo senso, Down può essere considerato il debutto per la band finlandese; non per mancanze dei dischi precedenti (Amok è un capolavoro) ma perché un mutamento improvviso come quello avvenuto qui è tale da giustificare, di solito, un cambio di moniker.

Ogni elemento vagamente riconducibile al loro passato death metal scompare: le linee di chitarra si asciugano, i tempi di batteria si irrigidiscono, le atmosfere si fanno più crepuscolari, e sul tutto non aleggia più la vena maudit di Amok, emanazione diretta del carisma di Taneli Jarva. Ville Laihiala è, nel 1996, una specie di corrispettivo finlandese di James Hetfield, dal tono più cupo e meno lancinante del predecessore; qui ancora acerbo, ma comunque riconoscibilissimo. Down dà inizio ad un suono ed uno stile che influenzerà buona parte del metal finlandese di lì a venire, espandendo il proprio influsso anche al di fuori dei patri confini. Da Down in poi comincia l’epopea dei Sentenced, come se il prima non fosse mai esistito – e del resto un disco meraviglioso come Amok è rimasto unico, irripetibile e irripetuto: quando un gruppo inizia a ripetersi, creando un canone stilistico che ne costituirà il marchio di fabbrica, tende in questo modo a mettere in evidenza i punti deboli persino dei primi dischi, da cui deriva e trae ispirazione.

Forse è per questo che ascoltare Down adesso è molto diverso dall’ascoltarlo alla sua uscita. Non solo perché è stato seguito dall’inestimabile Frozen, stilisticamente uguale a questo eppure migliore, ma perché, rimanendo in una coazione a ripetere per i successivi dieci anni, i Sentenced hanno sfruttato qualsiasi spunto possibile della formula. E la formula di Crimson, The Cold White Light e The Funeral Album è grossomodo la stessa di Down, e i difetti degli uni sono i difetti dell’altro, grossomodo. Così come i pregi, ovviamente.

Il guaio di Down è di essere un po’ un vaso di coccio in mezzo a quegli otri di piombo rappresentati dai dischi precedente e successivo. In un eventuale greatest hits personale dei Sentenced sarebbe d’obbligo almeno la tripletta iniziale: Noose, Shadegrown e Bleed; ma, a parte un paio di episodi un po’ più fiacchi, il disco non fa rimpiangere troppo il cambio di direzione stilistica. Il momento in cui ci si potè innamorare davvero dei nuovi Sentenced fu con il successivo Frozen, ma di questo parleremo tra due anni. (barg)

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