La gente forse sa cosa si perde a non essere metallara

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Qualche tempo fa, una mia amica mi ha fatto notare che il nostro mantra “la gente non sa cosa si perde a non essere metallara” potrebbe non corrispondere del tutto al vero. Secondo lei, una parte cospicua della gente non metallara sa esattamente cosa si perde e proprio per questo non lo è. Sul momento sono rimasto abbastanza interdetto, quasi infastidito da tale supponente disamina. La mia amica non ascolta metal, non sa chi siano i Black Sabbath e immagino che conosca i Metallica solo per la sublime cover di Marco Masini: però è una delle tante persone che periodicamente ammorbo con discorsi alla Joey DeMaio, immancabilmente conclusi dall’assioma di cui sopra. Sì, perché per me il fatto che la gente non sappia quello che si perde è qualcosa di incontrovertibile. O meglio, lo era.

La scorsa settimana il calendario concertistico romano proponeva vari eventi, tra cui la succulenta accoppiata Black TuskHerder. La data avrebbe dovuto originariamente svolgersi all’Init ma, per le ragioni che i frequentatori dell’underground capitolino ben conoscono, è stata spostata all’ultimo momento al Traffic.
I Black Tusk non mi fanno impazzire: li vidi all’Hellfest qualche anno fa, poco prima che il bassista Jonathan Athon morisse in un tragico incidente motociclistico, e ne conservo un ricordo poco più che gradevole. Diverso il discorso per gli Herder, uno dei tanti gruppi la cui conoscenza devo ai lungimiranti consigli del Greco. Il loro stoner sludge rude e violento provoca in me una gamma di reazioni che va dall’esaltazione euforica alla rottura del muro del vicino a testate. All’ultimo Roadburn, per la troppa gente, non ero riuscito a entrare nello stanzone in cui suonavano ed ero stato costretto a intuirne la carica live da uno spioncino. È essenzialmente per loro che vado al Traffic e la scena che mi trovo davanti al mio arrivo è straniante.
Il parcheggio all’esterno del locale è completamente vuoto. Non una macchina parcheggiata e nemmeno l’ombra dei beoni che solitamente stazionano lì in attesa che inizi la serata. Nulla di nulla. Saranno già tutti dentro, penso. Manco per il cazzo. La sala è deserta. Al bancone del bar un ragazzo intento ad asciugare e mettere a posto i boccali. Nessun altro. Nessuno, capite? Sono l’unico spettatore. L’UNICO.

Controllo l’ora: mancano cinque minuti all’inizio degli Herder, che secondo il running order avrebbero dovuto suonare per primi. Certo, a pochi chilometri di distanza si stanno esibendo gli immarcescibili Anvil, ma questa non mi sembra una buona ragione per giustificare ciò che vedo. Porca miseria, siamo a Roma, una metropoli con quasi tre milioni di abitanti e una scena stoner piuttosto florida: possibile che in tutta la città non si trovi un altro stronzo che abbia voglia di assistere al concerto di due gruppi per giunta non proprio sconosciuti? Ok, non stiamo parlando dei Kyuss, ma ‘sta gente riempie locali in tutta Europa e suona nei festival più prestigiosi del continente.
Esco spaesato dalla sala e mi ritrovo gli Herder al completo che bivaccano seduti all’ingresso. Guardano la mia faccia sconsolata e scoppiano a ridere. Mi fanno accomodare accanto a loro, offrendomi della birra. Istintivamente mi scuso per la situazione imbarazzante e gli racconto del loro show al Roadburn e di come non fossi riuscito a godermelo appieno a causa dell’enorme affluenza. “Bene”, mi fa il cantante, “vorrà dire che oggi ti ripagheremo e suoneremo solo per te”.

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E così è andata. Io attaccato alle transenne del Traffic e gli Herder sul palco a spaccare tutto, come se avessero davanti un locale strapieno. Sudando, sbraitando, dedicandomi ogni singola canzone.
Nel corso del set fanno capolino altre due o tre persone, ma comunque il numero degli spettatori non supera mai quello dei componenti della band. Chiudono in un crescendo devastante e a momenti gli amplificatori sembrano davvero sul punto di esplodere. Alla fine il frontman, un olandesone tatuato e simpatico, scende ad abbracciarmi.
I Black Tusk si esibiscono davanti a un pugno di avventori in più, ma io ormai ho la testa da un’altra parte. Riesco addirittura a rovesciarmi addosso una pinta di birra appena comprata senza che il sorriso ebete che ho stampato in faccia si affievolisca di un millimetro.
Incrocio nuovamente gli Herder mentre sto uscendo dal Traffic. Sono intenti a caricare la strumentazione sul tour bus prima di ripartire verso la prossima data. Mi ringraziano. LORO ringraziano me, non so se mi spiego.

Sulla via del ritorno ripenso a ciò che ha detto la mia amica. La gente forse sa cosa si perde a non essere metallara e sceglie consapevolmente di non esserlo. Dovremmo fare i conti con questa evenienza. Dovremmo considerare la possibilità che la nostra società abbia scelto in piena coscienza di rifiutare il Giusto per consegnarsi sua sponte alla banalità e alla superficialità. Dovremmo accettare il fatto che, come scriveva Nicolás Gómez Dávila, il mondo moderno non sarà castigato, il mondo moderno È il castigo. Il nostro castigo.
Un castigo fatto di zombie che si azzuffano per ottenere da strozzini un biglietto per i Coldplay. Un castigo fatto di nubi di smartphone che oscurano e trasfigurano la realtà di un’esibizione. Un castigo fatto di mentecatti che stuprano l’etimologia di termini come “amore” ed “emozione”. Dio solo sa l’odio che mi scatena l’abuso scellerato di queste parole: se voi, figli di questo sistema malato, chiamate emozione il riprendere viziate popstar che cantano in playback a centinaia di metri di distanza, come dovrei definire io quello che mi suscita una band che macina migliaia di chilometri, si ritrova davanti un locale vuoto e nonostante ciò mi dedica un intero, memorabile concerto? Fossi il Presidente del Mondo, istituirei una Polizia del Linguaggio con il compito precipuo di darvi una manganellata sui denti ogni volta che usate a sproposito il termine “emozione”.

Forse, amici miei, è giunto il momento di prendere atto che la gente sa cosa si perde a non essere metallara. E proprio perché lo sa, nel Giorno del Giudizio non dovrà essere perdonata. Io quel giorno lo immagino come una sorta di Ragnarǫk, come la replica escatologica della battaglia di Azincourt consacrata da Shakespeare nell’Enrico V, con l’unica differenza che non capiterà nella festa di San Crispino ma in quella di San Lemmy. Da una parte ci saranno le armate soverchianti dell’individualismo contemporaneo, tronfie della loro superiorità numerica e morale. Dall’altra ci saremo noi. Noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli.

17 commenti

  • A volte, preso da pura rabbia, penso che la gente alla fine i Coldplay se li merita. Che tristezza

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  • I concerti ad personam sono sempre i migliori, ricordo qualche anno fa i Trollfest che suonarono a Firenze praticamente solo per me e la mia cricca, ubriachi e felicissimi e ultragasati. Uno dei meglio concerti della mia vita

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  • Stesso discorso per il Burn This Town. Un anno di organizzazione e quattro stronzi nel Traffic. Solo un po’ di gente in più per i Rosae Crucis, gente che appena finito il set ha preso e se n’è andata coi trans che si fanno comodamente trovare fuori dal Traffic. Per i Sacred Steel, headliner, non più di cinquanta persone. Sono cose che fanno male. Alla fine penso che ci meritiamo le cover di Marco Masini, e solo quelle.

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  • Anche a me è successo al Summer Breeze 2012 coi Black Sheriff, con l’aggravante che a un festival del genere è pieno di gente che viene apposta per ascoltare metal, e che quindi sa, o dovrebbe sapere, cosa significa suonare nel palco piccolo in pieno pomeriggio e perciò tre minuti da dedicare al gruppo li può anche trovare. E invece eravamo in quattro a fare il wall of death. Però loro erano contenti, noi pure, e questo solo conta.
    Nota a margine: adesso sono tutti a stracciarsi le vesti per lo “scandalo bagarini” dei Coldplay; ma per gli ultimi due concerti in Italia dei Black Sabbath la situazione era diversa?

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  • sergente kabukiman

    prima di tutto grazie per avermi fatto scoprire gli herder, non li avevo mai sentiti e so davvero bravi! i black tusk invece presumo che dal vivo siano fichi, ma su disco continuano ad annoiarmi. la situazione è comunque incredibile, anche perchè gli anvil non si sono certi esibiti all’olimpico in un concerto sold out, quindi è proprio questione di gente che non è voluta venire. Onestamente imbarazzante, ma le band si sono dimostrate estremamente professionali in tutto questo

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  • Vaffanculo al popolo italiano, non meritano una band come gli Herder!

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  • Sono già due volte che leggo sto articolo. Una roba simile mi è successa nel 2003 a Bresso (MI) al concerto dei Today is the day e Charger. Due band cosí, scarsine… 4 gatti causa non so quale altro evento e tempo di merda. Alla fine Austin ha notato che sapevo i pezzi a memoria e mi ha fatto salire sul palco. Ho cantato il pezzo conclusivo della scaletta “The man who loves to hurt himself”, ho conosciuto tutti quelli delle band, tutti i pochi presenti nel locale e con alcuni di loro sono in contatto ancora oggi. Sto piccolo aneddoto non fa che confermare quello che hai scritto. Bella <3

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  • bel pezzo, il concerto monospettatore non mi è mai capitato, ma spesso ho assisitito a show dove spettatori e membri della band erano più o meno lo stesso numero, fa parte dell”essere metallari” per come la vedo… questa città è quel che è, ci meritiamo i locali dove fanno suonare solo cover band dei metallica. Quella sera ho optato per gli Anvil, peraltro bolliti, a mio parere… gli Herder invece hanno fatto onore al dio del tuono (e del rock’n’roll)

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    • Io ho visto gli Anvil alla data prima di quella di Roma e sinceramente mi è parso che, al netto dei limiti che sono sempre gli stessi e sono sempre stati evidenti, abbiano messo su uno show di tutto rispetto, grintoso e coinvolgente. Sul palco ci sanno stare meglio di tanti altri, a mio avviso.

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  • “La nobiltà umana è un’opera che il tempo a volte forgia nella nostra ignominia quotidiana” (N.G.D.).

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  • A me è successo una volta sola, eravamo mio fratello, 2 amici e io, in un pub di Como, il Black Horse. Suonava un gruppo cover dei Motorhead. E’ stato bellissimo, ma anche per loro. Noi eravamo invasati, la birra volava, il gruppo s’è divertito da morire.

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  • Grazie per questa perla di articolo, e per avermi fatto scoprire gli Herder.

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