Avere vent’anni: ottobre 1996

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ANGELCORPSE – Hammer Of Gods

Luca Bonetta: Sapete cos’è il war metal? Ve lo dico io: fondamentalmente un cazzo di niente. War metal è una denominazione nata alcuni anni fa per classificare gruppi che di base suonano black/death e che registrano i dischi con il buco del culo. Messa così pare che io disprezzi i gruppi di cui sopra ma non è così; Revenge, Conqueror, Blasphemy sono tutte ottime band, che di tanto in tanto mi sparo ancora, soprattutto quando ho il male di vivere appollaiato sulle spalle e mi voglio scaricare in un modo che non preveda il prendere la gente a fucilate. Nell’ormai lontano 1996 usciva l’album che diede il la al proliferare di questo particolare modo di suonare musica estrema: Hammer Of Gods degli Angelcorpse. Il disco è un concentrato di sfuriate e croci rovesciate, un tripudio di blasfemia diluita in 38 minuti di death metal. Capitanati dall’onnipresente Pete Helmkamp e con il contributo dietro le pelli di un allora ventenne John Longstreth, che più tardi diventerà uno dei batteristi migliori della scena in forza agli Origin. Gli Angelcorpse rimangono comunque una delle realtà più valide per chi nella musica cerca furia cieca e bordello senza pietà, e Hammer Of Gods ne è il più fulgido esempio.

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MY DYING BRIDE – Like Gods Of The Sun

Andrea Bertuzzi: Detesto con passione Like gods of the sun non tanto perché sia un brutto disco (anche se lo è) ma soprattutto perché mi ha fatto disinnamorare una volta per tutte dei My Dying Bride. Non c’è niente di più triste di un amore inacidito, no? Ecco. Immagina di avere una storia con una donna bellissima, colta ma non secchiona, spirituale ma gran bestemmiatrice, raffinata ma capace di apprezzare la poesia di una deep throat con gargarismo quando serve. Ecco. Hai una storia che va avanti ad altissimi livelli per diversi anni (diciamo il tempo di tre dischi e una manciata di EP). Poi una sbandata improvvisa, lei sparisce, non si fa più sentire, ti schizza se cerchi di contattarla. Finché un pomeriggio finalmente ti richiama, ti deve parlare, dice, vi incontrate da qualche parte e dopo dieci minuti di conversazione sprofondi in un orrore senza nome mentre lei ti rivela che si è unita a una confraternita laica, si incazza in maniera passivo-aggressiva appena tiri giù un santo, e insomma se vuoi stare ancora con lei le pompe te le puoi scordare perché fanno piangere Gesù. Ecco, Like gods of the sun è il peggiore dei tradimenti: piatto e smorto come un pomeriggio nella sala d’attesa di Italo, una pippa gothic per ragazzine che sta al malessere totalizzante dei primi tre dischi come la sciacquatura dei piatti sta al sugo di cinghiale. Li avevo venerati in maniera talebana fino ad allora, poi non ce l’ho più fatta –  per quanto mi riguarda la sposa è morta davvero nel ’96 e tutti i successivi cambi di direzione sono stati solo altrettanti tentativi di coprire il puzzo di cadavere col profumo. Sic transit.

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GODKILLER – The Rebirth Of The Middle Ages

Piero Tola: Quando una distro scrausa da qualche parte in Padania mi mandò uno dei tanti volantini promozionali che riempivano i cassetti della mia stanza di adolescente in quegli indimenticabili anni, mi accorsi che veniva pubblicizzata con insistenza la nuova uscita di un gruppo underground monegasco dal moniker di Godkiller. “Bello”, pensai. Quanta ignoranza in quella foto da libro scolastico di un castello medioevale a caso. Decisi così di ordinare il mini-cd in questione, che scopro oggi essere limitato a sole 5000 copie. Non so se le abbiano vendute tutte alla fine e se quella stampa che ancora possiedo sia oggi un oggetto da collezione. Poco mi importa, onestamente. La musica ivi contenuta era un bestiale, primordiale black metal suonato a rotta di collo, con stile vocale vagamente burzumiano e tematiche profonde quali: “The Army of the Black Knights is prepared for the final battle. Our goal is to conquer and reign. We shall conquer this world to give a new birth to the Middle Ages. We shall spread hate, war and death. We shall be victorious for we are the mightiest.” Ma ciò che mi rendeva ancora più simpatico quel buontempone di Duke Satanael, l’uomo a cui faceva capo tutto il progetto, era immaginare il nostro, abbigliato in perfetto corpse paint,  andare a comprare le sigarette al tabaccaio che da il nome al celeberrimo tornante del Gran Premio di Formula 1 locale. Dopo questo spassoso ep mi pare che il nostro si sia dato al lato più industriale, e il successivo The End of the World forse lo sentii pure un paio di volte, anche se ora, francamente, non lo ricordo bene. Per me Godkiller rimarrà sempre il fine promotore del messaggio vero e sincero riportato nel retro del disco:

“Godkiller supports the war against Christianity and the annihilation of the weak”.

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MOTORHEAD: Overnight Sensation

Ciccio Russo: Wurzel se ne era andato subito dopo le registrazioni di Sacrifice, un addio che umanamente aveva ferito Lemmy in maniera profonda e che viene rielaborato nell’amara Love Can’t Buy You Money. Dopo tredici anni, si torna dunque alla formazione a tre, la stessa immortalata sulla copertina (tra le poche senza lo Snaggletooth), quella che resterà immutata fino alla fine. In quello che fu forse il periodo peggiore in assoluto per le vecchie glorie, Overnight Sensation passò abbastanza in sordina rispetto al predecessore, uscito appena un anno prima e più adrenalinico e irruento. Sembra quasi che Lemmy avesse voluto tornare subito in studio per dimostrare che la band era ancora viva. Erano anni in cui non c’era più nulla di scontato per nessuno. Nemmeno per i Motorhead.

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AYREON – Actual Fantasy

Charles: All’epoca credo che a casa avessi ancora l’Olivetti 286, che quando mi fu consegnato mi sembrava un oggetto venuto dallo spazio. A ripensarci oggi la cosa mi fa abbastanza ridere. In quegli anni lì entrai definitivamente in fissa con la fantascienza in generale e i libri che parlavano dei temi dell’intelligenza artificiale, la realtà virtuale, il tridimensionale e i film tipo Tron, il Tagliaerbe, cose così. Quindi, essendo abbastanza a digiuno di informatica, a parte la conoscenza dei rudimenti del DOS, mi affascinava tutto ciò che trattasse l’argomento in modo misterioso. Come appunto faceva Actual Fantasy, il secondo album di Arjen Anthony Lucassen. Il successo e l’ampio riscontro del primo The Final Experiment gettò sul suo successore l’immeritata nomea di album inferiore. Se si prende a riferimento l’imponenza dolmènica del primo, ampio concept fantasy nei testi e complessa metal opera per la parte sonora, Actual Fantasy potrebbe, in effetti, risultare come un qualcosa di più semplice. Infatti è così, più semplice ed immediato, però. Tanto è vero che è l’album di Lucassen che ascolto con maggior frequenza. Al netto del fatto che qualsiasi cosa faccia l’olandese è per me sempre una spanna sopra il resto, qui parliamo di un disco di progressive godibilissimo, meno orientato alla magniloquenza e alle mirabilia operistiche e compositive, più focalizzato su una forma canzone “semplice” (tra virgolette perché sempre di prog parliamo) che si ispira, nei suoi toni, al sound ottantiano più che a quello settantiano, nonché all’elettronica kraftwerkiana. Riascoltandolo oggi per l’ennesima volta ho trovato molti punti di contatto con quello che è il disco dell’anno 2016 per me, Affinity degli Haken, che gioca proprio con le stesse sonorità di Actual Fantasy. Attualità e affinità: un filo rosso che collega vent’anni di musica. Prog lives on.

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MARILYN MANSON – Antichrist Superstar

Il Messicano: Avevo pensato di fare tutto un discorso sull’importanza di Marilyn Manson e, soprattutto, di questo disco, non tanto dal punto di vista strettamente musicale (su cui alla fine c’è poco da dire) quanto da quello simbolico. Avrei voluto dire, cazzo ne so, tipo che si sente che è una creatura di Trent Reznor e che alla fin fine qui dentro ci sono degli scarti dei Nine Inch Nails più rock e immediati. Che lo stesso Manson era una copia del primo Bowie e di Alice Cooper con vent’anni di ritardo. E ancora che comunque il disco alla fine è carino e si lascia ascoltare. Che è stato per anni una delle porte d’ingresso per la masse a tutto ciò che era rock/metal, soprattutto per l’aspetto folkloristico/iconografico. Insomma, tutta questa roba. C’è un però: sono tornato dal lavoro poco fa, ho i coglioni girati, la testa che mi esplode e non mi va di fare un cazzo. Sono passati vent’anni dall’uscita di questo disco ma mi sembra ieri che il mio amico Trezio, che oggi è addirittura padre, mi dice “Ou ho il cd di uno troppo pazzo” o qualcosa del genere e a me al primo ascolto fece anche schifo, abituato ai Sodom o agli Agnostic Front. Questa è la prima cosa in assoluto che scrivo con il pc nuovo, visto che quello vecchio è morto dopo oltre 5 anni di maltrattamenti. Comunque a me Antichrist Superstar piace pure. E ora mi sa che, dopo anni, lo riascolto. L’umidità di questi giorni mi fa stare malissimo. E niente. Ma esiste ancora Marilino Manzo? Certo che è proprio sparito (e non finisce certo qui, nei prossimi giorni usciranno ben tre articoli dedicati a questo album firmati da Stefano Greco, Trainspotting e il Masticatore, ndCiccio).

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