La gente che guarda e il nuovo video dei Negură Bunget

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Il mese scorso, una delegazione di Metal Skunk, composta da me, il barbuto Enrico ed un altro amico (che in quest’occasione chiameremo LO ZI’), si è recata in Transilvania alla ricerca delle origini del metal rumeno. Sì, perché son bravi tutti a fare una recensione sull’ennesimo gruppo che si ispira al signor Vlad Tepes, alla contessa Bathory, alle Carpathian Forest, vampiri, fantasmi e cazzimbocchi vari senza sapere minimamente di cosa si stia parlando. E invece, i vostri eroici scribacchini si sono recati direttamente in loco, seguendo una rigorosa tabella di marcia che non hanno mai avuto e sparandosi quattromila km di macchina, affinché potessero parlarvi con maggior cognizione di causa a proposito del folk black metal rumeno. E insomma, vuoi mettere? Praticamente è andata così: un giorno dico in giro che ho una settimana libera, che famo? Viaggio in macchina alla cazzo di cane? Gli unici cuori impavidi che rispondono alla chiamata alle armi sono Enrico e LO ZI’, che guadagnano immediatamente mille punti Valhalla a testa. Dove si va? Irlanda? Già stati, troppo lunga. Austria, Svizzera, Cermania? Sì, meh. Ce l’avete presente n’dò sta la Transilvania? Si fa lo zaino, gasolio, si prende e si parte via Ungheria.

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Capitolo 1. Il disagio post-sovietico.

Non dimenticherò mai l’inquietante scena hitchcockiana dello stormo di corvi che volava sopra le nostre teste all’arrivo nell’albergo di Hunedoara, un palazzone tutto sommato decente ma circondato da altri palazzoni mezzi rotti, quartiere totalmente al buio; dentro, camere con luci al neon di tutti i colori (roba da casa da appuntamenti di infimo livello) con tanto di amici indiscreti (scarrafoni) che hanno allietato la lunga notte di Enrico. Tra l’altro venivamo da una situazione idilliaca – chalet di montagna strafichissimo sui Carpazi – e il passaggio dalle stelle alle stalle mi ha steso. Devo ammettere che mi trovo molto più a mio agio nel lusso. Arrivando dalle campagne ai centri urbani si passava per quartieri periferici brutti e squallidi, oggetto della peggiore devastazione industriale sovietica, prima di entrare nei minuscoli centri storici dove la dominazione sassone, di maggior buon gusto, ha lasciato gli ultimi visibili retaggi architettonici. Era normale affacciarsi dalla finestrella di un castello gotico e vedere, al posto della scena di giochi tra dame e cavalieri che ti aspettavi di trovare, lo scheletro di una vecchia costruzione industriale o una ciminiera. Gli appassionati di archeologia post-industriale ritroveranno molti spunti interessanti visitando la Romania.

20160825_125644Capitolo 2. Vampiri, licantropi ed altre entità.

Dunque, andiamo a Bran per vedere l’omonimo castello perché è il Castello del Conte Dracula. E invece veniamo a sapere che il Conte non ci ha nemmeno mai messo piede lì dentro. Cioè, io lo avevo anche letto da qualche parte (che non ci azzeccava niente ed era tutta una commercialata) ma mi sono divertito a fare lo scherzo ai miei compagni di viaggio. Sono un povero di spirito, che ci posso fare. Purtroppo non ho avuto la prontezza di fotografare i loro volti di delusione mentre ascoltavano l’audioguida in italiano. Il castello, quello vero, stava a chilometri di distanza e comunque pare fosse completamente diroccato. Però fuori dalla presunta dimora vampiresca abbiamo comprato le tazze con la faccia in rilievo del Nostro e la magliettina con scritto I love Dracula. A onor del vero, incontriamo suo figlio che si aggirava come fosse un turista qualsiasi. Regia, favorisca la diapositiva. Allora ce ne andiamo a Hunedoara, la città dei corvi di cui sopra, per vedere il Castello di Corvino, appunto, perché mi ricordavo che in Underworld Corvinus, morso da un lupo, si trasformò nel primo Lycan della storia. Insomma, abbiamo anche dato il giusto spazio alla cultura. Sempre a proposito di cultura, è bene segnalare che i rumeni sono fissati coi nani da giardino, o almeno è quello che vogliono farci credere: lungo le strade si trovano molti negozietti improvvisati che vendono a due spicci le simpatiche statuette. Non ho potuto fare a meno di portarmi in Italia una vera entità bassa da giardino tipicamente rumena, così ogni mattina, quando esco di casa, la guardo e penso a Richard Benson.

Capitolo 3. Salsicce ed altre cibarie più o meno raffinate.

In quanto a vino non stanno messi affatto male; abbiamo bevuto un Fetească neagră del 2014, affinato in barrique, che è un antico vitigno rumeno che spacca, per esempio. Il cibo in generale è stato buono ma sovrabbondante. Una sera io e l’Enrico (LO ZI’ era rimasto a dormire in camera) ci siamo sparati una montagna di carne alla brace, sepolta sotto una montagna di patatine fritte, a sua volta sepolta sotto una montagna di peperoni e cetriolini, il tutto servito su di un unico piatto di legno da cui abbiamo attinto senza vergogna. La salsiccia extra large sotto al ‘castello di Dracula’ pure era bella ignorante e deleteria. Il punto più basso del nostro tour gastronomico è stato raggiunto ai piedi dei Carpazi per mezzo di una pizza decongelata ai quattro formaggi e dei crostini intrisi di olio e cose viscide fatte della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Il punto più alto, invece, sopra i Carpazi, grazie a una doppia fonduta, una di formaggio e una di carne, tartare, zuppe di funghi ed altre leccornie, che ci ha fatto sentire delle persone ricche, quindi migliori. La birra Ciuc è buona e viene servita sempre gelata (al prezzo di 90 centesimi la pinta magari è risultata essere ancora più buona di quanto effettivamente fosse). In generale, la vacanza non è costata un cazzo: pensavamo che i conti al ristorante fossero sbagliati, perché è assurdo magnare a strafogo con cinque euro a testa.

Capitolo 4. Gli sbirri.

Premetto che non ce l’ho con i poliziotti e le forze dell’ordine in generale. Ma quelli rumeni sono dei veri simpaticoni. Anche quelli ungheresi non scherzano, sono rigidi ma corretti: ci hanno fermato di notte alla frontiera perché Enrico andava troppo forte, minacciando di portarci in centrale, fare le foto e chissà quali pratiche scostumate. Ma poi hanno lasciato correre senza neanche la multa dicendo che se ci avessero beccato una seconda volta ci avrebbero fatto un culo così. Quelli rumeni, invece, sono proprio dei mattacchioni. Appena passava Enrico alla guida, taaac, paletta. La seconda volta ci stava questo tizio, un GRAN SIMPATICONE, che voleva sequestrargli la patente, ma si vedeva lontano un miglio che voleva solo farci cacare sotto per sentirselo duro nelle mutande e spararsi le pose la sera al bancone del bar sotto casa, visto che si scambiava i sorrisetti col collega. Ti aspettiamo, amico caro, vieni a trovarci in Italia.

IMG-20160829-WA0013Capitolo 5. La gente che guarda.

Veniamo al cuore di tutta la faccenda: laggente. Quella che abbiamo incontrato era tranquilla e ben disposta. Poche facce da scappato di prigione e, in generale, non si è mai avvertito un reale senso di insicurezza. Le femmine sono della razza migliore (meglio anche delle sopravvalutate ungheresi, ma di molto proprio). In questi paesi (come pure nel sud Italia) se ti comporti bene, non fai lo stronzo e non ostenti ricchezza o guapparia, nessuno viene a romperti le palle. Poco poco ti salta in mente di alzare la testa e fare il padrone in casa d’altri, te la mozzano, giustamente. Comunque è gente fiera che non nasconde le proprie origini guerriere dace. Io e l’Enrico, essendo appunto terroni, ci sappiamo comportare in modo rispettoso e non abbiamo avuto problemi di sorta (LO ZI’ invece è del norde, ma è un uomo di mondo, quindi nulla quaestio). Una costante, presente in tutti i millemila paeselli attraversati, è la gente che guarda. Persone non particolarmente affaccendate che stanno lì, ferme ai bordi della strada, che guardano. Guardano te che passi, fondamentalmente. Di solito queste persone sono sedute davanti casa per terra, quelle più evolute su una sedia, i più attivi in piedi; e non si mettono ai lati, no, proprio al bordo della strada, in curva, dove gli capita, che quando passi quasi li sfiori. Ed è pieno di gente che guarda. Non è come nei nostri paesini dove trovi il vecchietto sulla panchina o quello al bar che ti guarda male a prescindere; lì, davanti ad ogni singola casa, c’è uno che guarda senza alcuna particolare acrimonia, ma guarda, come se qualcuno gli avesse assegnato proprio quel compito lì specifico. Questo accade a qualsiasi ora del giorno e della notte. All’inizio fa strano, poi diventa quasi rassicurante ma anche un po’ inquietante. Non abbiamo mai avuto un problema con la macchina ma immagino che se ti fermi accorrono in tanti.

Conclusioni.

La Romania – la Transilvania nello specifico – è un paese strano, non è Europa, non è ricco, né povero. Cioè, è tutte le cose insieme. Un bel guazzabuglio, insomma. Si passa da scene bucoliche e di benessere, tipo Sud Tirolo, ad altre ben più tristi di famiglie che vanno in giro su carretti di legno carichi di letame, col bambino sedutovi sopra senza alcun riguardo per la salute, trainati da questi cavalli smunti che sembrano essere sul punto di morire. Le strade perlopiù fanno schifo o quasi (e in questo ci siamo sentiti a casa) e attraversano una miriade di paeselli che si sviluppano in lunghezza sulla strada principale, tipo che l’ultima casa del paese è posta un attimo prima dell’ultimo cartello stradale (che secondo me viene spostato in avanti ogni volta che sorge una casetta nuova). I vialetti di accesso a queste case, basse e tutte uguali, sono delimitati da copertoni di auto o camion interrati per la metà. Mai viste tante macchinone di lusso in giro tutte insieme, neanche a Porto Cervo. Poi ti capita pure di imbatterti in cittadine splendide, tipo Sibiu o Brasov, ribattezzata Brasollivud a causa dell’enorme scritta luminosa della città così discretamente posta sulla montagna antistante la piazza principale. Le montagne rendono onore al mito, sono veramente grim & frostbitten, e i boschi spettrali. Immagino cosa debba essere in inverno. Abbiamo anche tentato di fare del trekking nel Parco Nazionale di Piatra Craiului, con la speranza di farci sbranare dalle linci, lì molto presenti, ma abbiamo finito a fare le foto stile copertina black metal, sparandoci le pose alla Abbath (foto che per dignità vi risparmiamo). Dimenticavo: sulla targhetta del bagno degli uomini c’è scritto barbati.

Viaggiare in macchina in un posto così è la cosa migliore perché tutto ti passa davanti come in un film. E se poi la colonna sonora è Voievozii dei Bucium, allora è davvero un gran bel film. In conclusione, andateci assolutamente. (Charles)

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A proposito di film, di seguito il videoclip di 10 minuti che introduce Zi, il nuovo disco dei Negură Bunget che farà parte della trilogia musicale il cui concept è ispirato, appunto, alla Transilvania. La saga rumena è iniziata l’anno scorso con Tău. Speriamo solo che il secondo capitolo sia migliore del precedente, perché quello non ci aveva convinto fino in fondo. Ne parleremo sicuramente in modo approfondito più avanti. Salut.

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