XXII AGGLUTINATION @Chiaromonte (PZ), 21.08.2016

XXIIAgglutination2016La 22ma edizione dell’Agglutination vede due grandi ritorni: quello di Ciccio Russo, alla sua seconda calata, e quello della scuola media di Chiaromonte, storica location abbarbicata su una montagnola che negli anni passati è stata abbandonata in favore dei campi sportivi dei paesi limitrofi, più in pianura. Quest’anno eravamo parecchi, quindi abbiamo preso due macchine e per la prima volta ho dovuto guidare io. Con me c’era Ciccio e la mia compagna di merende; e quando quest’ultima, guardando il navigatore nell’ultimissimo tratto di superstrada, mi ha detto di girare a destra, ho completamente mancato l’uscita. “Dove dovevo girare?”, le ho detto, “Non mi sembrava ci fosse alcun’uscita”. E invece, dopo un giro infinito per fare inversione, mi sono accorto che l’uscita c’era, solo che era più che altro un buco nel guardrail che fungeva da accesso privato per delle industrie. Grazie tante, Google Maps. Da lì abbiamo guidato dieci chilometri su una improbabile strada di montagna con più buchi per terra della piazza del mercato di Baghdad, e talmente ripida che ho dovuto farla quasi tutta in prima. Avete presente, quelle strade in mezzo ai boschi, strettissime, a doppio senso, piene di curve a gomito in pendenza, che preghi tutto il tempo che non arrivi un’altra macchina in senso contrario. Tutto molto grim in verità, compreso il gregge di pecore e capre che abbiamo incontrato a un certo punto; e non credo ci fosse modo migliore per battezzare la mia prima macchinata personale verso Chiaromonte.

Dopo aver parcheggiato troviamo i soliti stronzi con cui siamo soliti andare all’Agglutination, tra cui un Messicano non in perfetta forma a causa di alcuni guai fisici rimediati dopo l’ultima rapina a mano armata che lo ha visto protagonista. Non può mancare neanche Gonzalo De Rossi, l’altro compare di mille Agglutination, che propone di farci un paio di sane Raffo al bar del paese prima del festival. Del resto anche quest’anno non si può rientrare dopo essere usciti (ma perché?), quindi creiamo un po’ di indotto nell’economia locale prima di farci sequestrare all’interno dell’area. Ci troviamo in tempo per l’ultima parte dei NANOWAR OF STEEL, che suonano a un volume improbabile almeno quanto i loro vestiti. Sono sempre divertenti visti dal vivo, tanto che questa volta mi sono ripromesso di recuperare i loro lavori visto che in quanto a dischi in studio sono fermo al primo demo – quando ancora si chiamavano semplicemente Nanowar ed erano un gruppetto romano di belle speranze che ci si passava tra appassionati per farsi due risate. È doveroso un epico saluto agli inquilini dell’edificio di fronte alla scuola media, che sghignazzavano mentre riprendevano il concerto dal balcone col cellulare. Chissà che hanno pensato a vedere uno spettacolo del genere. Comunque vorrei menzionare anche i DEWFALL, che hanno suonato prima dei Nanowar mentre eravamo ancora in mezzo alle greggi di pecore su quella stradina bombardata. Ricordo anche loro ai tempi del demo, in cui facevano una cosa simile agli Iron Maiden; li ho però visti al Breaking Sound Fest qualche settimana fa e facevano una roba molto estrema. Chissà che è successo nel frattempo.

Dopo un veloce cambio palco è il turno dei FLESHGOD APOCALYPSE, già visti un mese addietro al Fosch Fest. All’epoca attribuii la loro prestazione non eccelsa ai problemi tecnici postdiluviani, ma a questo punto credo che il loro death metal sinfonico sia semplicemente troppo complicato da riproporre dal vivo. I perugini sono ben accolti dalla platea, che li omaggia con fomento generale e grande sfoggio di magliette dedicate, e da parte loro si vede che ce la mettono tutta; ma niente, non riescono proprio a ricreare il proprio suono in sede live. Peraltro da queste parti si è anche parlato benissimo di Oracles e Mafia, loro mi stanno simpatici e mi dispiace doverne parlare come di un concerto che non mi è piaciuto, quindi per buttare tutto in caciara parlerò dei panini con la salsiccia dell’Agglutination che vengono preparati da anziane locali, probabilmente le stesse che hanno sgozzato i maiali finiti nelle medesime salsicce. 

un ringraziamento a Simone per la testimonianza fotografica

un ringraziamento a Simone per la testimonianza fotografica

Le quali sono effettivamente molto buone (le salsicce), ma vengono purtroppo accompagnate da un pane tipo le masse di Big Babol che faceva un mio compagno delle medie mangiando tutto il pacchetto di gomme. Mi piace pensare che quel mio ex compagno abbia dovuto rifugiarsi sulle montagne lucane dopo una qualche storiaccia riguardante armi e droga, e che ora sia diventato il fornaio che rifornisce le signore dei panini dell’Agglutination a Chiaromonte in provincia di Potenza. Qualcuno dovrebbe farci una serie televisiva.

Non avevo mai visto prima i TAAKE, di cui adoro i primi due album e apprezzo molto il resto della discografia; e l’attesa era aumentata dalla reputazione live di Hoest, il cui alcolismo pare che lo spinga spesso ad atti di imprevedibile follia, tipo usare dei pantaloni con un buco per fare uscire il pacco. Questa volta però non succede nulla di particolarmente scabroso, nonostante il tasso alcolemico tocchi vette altissime e le bottiglie di vino locale si susseguano freneticamente. Un gruppetto di gente li chiama a gran voce pronunciando il nome all’inglese: te-ic, te-ic. Dai, ma come cazzo si fa. Comunque per quanto mi riguarda è stato il concerto migliore dell’Agglutination: un’ora di black metal norvegese grooveggiante, senza soluzione di continuità, con un’attitudine strafottente, offensiva, definitivamente TRVE epperò mai pacchiana; ed è difficile, suonando quel tipo di black metal nel 2016. Il Messicano mi si avvicina apposta per farmi notare che Hoest tira calci all’aria mentre canta, come Freddy Cricien, che per chi tra voi non è avvezzo all’hardcore newyorkese bau bau è il cantante dei Madball. Di Hoest è stata anche notevolissima la maglietta che ha sfoggiato nella seconda parte dell’esibizione, con una mezzaluna islamica sbarrata tipo divieto, che come conseguenza più immediata ha avuto un’esplosione di bestemmie indirizzate ad Allah, Maometto e bin Laden accanto a quelle più consuete sul dio israelita e i suoi parenti più stretti. L’estroso cantante peraltro qualche anno fa era stato oggetto di una polemica a causa di un suo testo contro l’Islam: mi ricordo che molte vecchie zie casualmente ascoltatrici di heavy metal si scandalizzarono e dissero che era una cosa irrispettosa che non si doveva fare per non aizzare il clima d’odio e intolleranza bla bla bla. Mi affascinò molto il malfunzionamento del cervellino di queste persone, per le quali un gruppo black metal stupramadonne guidato da un tizio alcolizzato con una croce rovesciata tatuata dal collo al pube non avrebbe dovuto parlare male dei musulmani. Quindi una maglietta con una croce rovesciata è una simpatica routine, una con la mezzaluna sbarrata è un’odiosa provocazione nazifascista. È un po’ come se gli Slayer facessero una canzone su Pacciani anziché sui serial killer americani e qualche metallaro toscano se la prendesse a male.

perdonate la scarsa qualità dell’immagine

A proposito, dopo tanti anni Ciccio è finalmente riuscito a convincermi di fare pulizia tra i miei contatti Facebook; sembra che non c’entri niente, e invece è stato proprio questo ragionamento fatto sotto al palco dei Taake a convincermi a fare strage di contatti balogi con la stessa soddisfazione con cui Zoltan Bathory si fa riprendere imbracciando mitragliatori da guerra per fare incazzare i commentatori biliosi di Blabbermouth. Quindi da domani, cari amici del vero metal, per il vostro amatissimo ex postino niente più toccanti motivational di Laura Boldrini sulla bacheca. Niente più foto di bambini morti in posizioni plastiche accompagnati da status strappalacrime col ditino puntato per cercare di far sentire in colpa il prossimo, che già di suo cerca di sopravvivere in quella tempesta di merda che è la vita. Niente più profonde discussioni di persone laureate e sensibili che parlano seriamente del problema del manspreading o di qualche altro abominio ideologico in cui il Kali-Yuga si compiace di manifestarsi nella sua forma più abietta e mostruosa. D’ora in poi solo persone vagamente normali, gente con croci rovesciate tatuate addosso e gli amici, che io sono una persona buona e gli voglio bene anche se si mettono l’avatar alla moda con la bandiera francese.

Sono talmente fomentato dal concerto dei Taake che gli EXODUS me li vedo comodo sugli spalti a dieci metri dal palco, anche perché sono completamente sobrio visto che devo guidare al ritorno e quindi il thrash metal tupatupa non mi prende nella stessa maniera che a Ciccio, che a un certo punto vedo correre da una parte all’altra senza costrutto, grondando sudore e con un sorriso idiota stampato in faccia tipo bambino che si rotola nei regali sotto l’albero di Natale. Grazie a queste performance molto gradite agli dèi del metal preposti al mantenimento della vecchia usanza del moshing, direi che si è guadagnato il diritto di parlare del concerto degli Exodus:

Get up on your feet/ Don’t look so obsolete/ And thrash like an athlete!
Don’t sit there on your ass/ Don’t look like you’ve got too much class/ You’ll be harassed!

“Gary Holt non c’è perché sta in tour con gli Slayer. Non è la prima volta che accade, anzi. Alcuni anni fa, durante una data a Roma, era quantomeno stato sostituito da Rick Hunolt, l’altro chitarrista originale, che se ne era andato dopo il tour di Tempo Of The Damned. Non mi presentai per principio. Oggi gli unici membri storici sul palco sono il batterista Tom Hunting e il figliol prodigo Steve ‘Zetro’ Souza. Al posto di Holt suona Kragen Lum degli Heathen. Essendo ormai vecchio e cinico, la prendo bene lo stesso e quando parte l’attacco di The ballad of Leonard and Charles mi getto nel pogo per non uscirne mai più. In fondo sto molto più in forma oggi di dieci anni fa, quando avevo un’orrenda panza da birra e come unico sport praticavo il sollevamento Peroni. Se sei un fan degli Exodus, non puoi vederti un loro concerto senza dare e prendere mazzate come insegnato da loro nell’immortale inno The Toxic Waltz, che curiosamente riceve un’accoglienza freddina da parte di prime file che fino ad allora avevano cantato a squarciagola persino Blood In, Blood Out e Body Harvest, unici due estratti (e unici due brani apprezzabili) del loro ultimo, mediocre album. Forse, essendo stata piazzata alla fine del set, eravamo semplicemente tutti troppo stanchi, dopo tre quarti d’ora buoni trascorsi a gridare ogni ritornello, saltare come cavallette e dare violente spallate al prossimo. Ok, spiace che Holt abbia un po’ mollato la sua creatura disertandone i tour e scrivendone i brani con la mano sinistra. Però mi sono divertito lo stesso un mondo, che ci posso fare. E Zetro è Zetro, uno dei migliori frontman della storia del thrash, punto e basta. Con tutta la simpatia umana per Rob Dukes, che fu defenestrato in maniera abbastanza infame, non c’è assolutamente paragone. Un altro campionato, proprio. Prestazione compatta e intensa, suoni pure decenti, mezzo Bonded By Blood in scaletta. Sono venuto soprattutto per loro (ok, no, sono venuto perché all’Agglutination ci si va e basta; diciamo che gli Exodus erano il pretesto principale) e non me ne sono pentito affatto”. (Ciccio Russo)

Durante il cambio palco c’è stata un’interessante discussione col Messicano e Gonzalo sul nuovo pezzo dei Metallica, che io peraltro non ho ancora sentito. Il dialogo si svolgeva più che altro intorno alle due solite tesi A) fanno schifo e B) sì ma prima facevano ancora più schifo su cui si è sostanzialmente diviso il pubblico all’epoca di Death Magnetic. A un certo punto però parte l’intro dei THERION e io mi fiondo sotto al palco insieme alla mia compagna di merende, giustamente esaltata perché aprono con Rise of Sodom and Gomorrah. Rise of Sodom and Gomorrah, vi rendete conto? A me inizia a prendere benissimo da subito: li avevo visti solo un’altra volta, una dozzina d’anni fa, quando giravano ancora coi coristi vestiti da pinguini e le coriste vestite da principesse Disney, e mi ero stupito di quanto potesse essere divertente un concerto dei Therion. Uno si immagina che dal vivo possano essere dei pesantoni stracciamaroni che si prendono tremendamente sul serio e alzano le braccia al rallentatore con sguardo epico e maligno rivolto al cielo, invece sono dei cazzoni metallari che zompano, sghignazzano e fanno i fischioni di chitarra. Questa volta è lo stesso, pur se in formazione ridotta e con l’entusiasmo di Christofer Johnsson al minimo sindacale; merito anche della scaletta, intelligentemente incentrata sul doppio Lemuria/Sirius B del 2004, non solo uno dei dischi migliori della band ma anche il più adatto a essere riprodotto dal vivo riuscendo a coinvolgere il pubblico. Adesso si portano dietro solo tre cantanti: Vinkstrom è l’unico uomo, e ad accompagnarlo ci sono sua figlia Linnéa (non sto scherzando) e il soprano Chiara Malvestiti, un’italiana. Che poi dev’essere bruttissimo per una donna fare Malvestiti di cognome, che è come se un uomo si chiamasse, non so, Cortomembro. La suddetta Chiara interagiva comprensibilmente parecchio col pubblico, anche se come al solito all’Agglutination ci siamo fatti riconoscere. In particolare un calabrese vicino a me, praticamente attaccato alle transenne, era particolarmente fomentato quando la Malvestiti si è avvicinata a due metri da noi e, asfissiantemente inguainata nel suo corpetto gotico, ha detto qualcosa tipo “è sempre bello venire a suonare in Italia” ma è stata interrotta da un ME LO HAI FATTO ARRIZZARE sparato con voce baritonale e accento catanzarese a due metri da lei e saltando su quello davanti. Mi ha ricordato quel dvd degli Ancient Rites quando, durante il pezzo con le bestemmie alla fine di Blood of Christ, Gunther lancia giù dal palco il microfono che viene prontamente raccolto da un belga fomentatissimo che spara quel bestemmione al triplo del volume della voce dello stesso Gunther, e in growl.

 

Comunque tutto bellissimo, davvero. Ragazzi, andateli a vedere se non vi è ancora mai capitato, perché vi state perdendo qualcosa. Ciccio mi ha raccontato che nelle ultime file c’erano tutti i delusi degli Exodus che ballavano la macarena, il limbo e facevano il trenino brigitte bardò-bardò. Sono arrivati anche gli immigrati, ha detto, dando così un seguito alla scorsa edizione che vide la presenza degli ospiti del centro di accoglienza di Sant’Arcangelo nel pubblico. Se questa tradizione venisse confermata anche i prossimi anni ciò incrementerebbe lo status crepuscolare dell’Agglutination, ufficialmente uno dei festival più WTF dello Stivale nonché anche l’unico con le vecchiette della Pro Loco che preparano i panini con la salsiccia. Io per esempio potrò raccontare ai miei nipotini che una volta ho pogato con un truzzo africano durante gli Inquisition sulle montagne lucane; e sì, figli di puttana, i miei nipotini sapranno benissimo chi sono gli Inquisition. Comunque fortunatamente i suddetti immigrati non sono arrivati mentre sul palco c’era Hoest con la maglietta antimaomettana, perché se proprio qualcuno deve farsi esplodere durante un concerto è giusto che il privilegio spetti ai Dethklok.

Insomma si diceva che è stato tutto molto bello ed è verissimo. Sentire cose come Flesh of the Gods e Lemuria sotto al palco ti fa davvero tornare bambino, e in certi momenti mi sono reso conto di avere lo stesso sorriso cretino che aveva Ciccio mentre correva da solo alla cieca durante gli Exodus. Che poi loro sono tutti vestiti in modo completamente scompagnato: Johnsson ha un costume tipo steampunk; il bassista sembra un capoultrà dell’Hertha Berlino in fissa con la techno anni ’90; il chitarrista solista sembra pronto per suonare nei Black Label Society; e poi i tre cantanti: padre e figlia con delle tutine imbarazzanti e la goticona Malvestiti, ironicamente la meglio vestita di tutti in quel contesto. Tutto ciò aumentava il senso di straniamento, e io in quell’ora e mezza ho perso davvero contatto con la realtà e con tutta la tempesta di merda di cui sopra. Solo un appunto: o i tecnici del suono erano stati sgozzati come capri espiatori per le offese di Hoest al cammelliere della Mecca oppure non si spiega davvero come abbia fatto il suono a fare così schifo. A partire dal volume bassissimo, roba che io e la mia compagna di merende si parlava tranquillamente con voce normale a pochi metri dal muro di amplificatori, quando invece ai Nanowar stavano tremando i palazzi del paese sulla montagna affianco. E poi non si sentivano mai tutti gli strumenti e le voci contemporaneamente: sentivi solo la batteria e poi altre 3-4 persone a turno. Se tutti e tre i cantanti cantavano contemporaneamente, le chitarre te le potevi scordare. E così ogni tanto tutti muovevano la bocca e tu sentivi prima uno, poi l’altro, poi l’altro ancora, eccetera. Quando partiva l’assolo poi Johnsson poteva pure andare a cacciare cinghiali sulla strada che abbiamo fatto all’andata. Seriamente, che è successo in cabina mixer? I fonici dei Nanowar hanno bullizzato quelli dei Therion? Io un disastro sonoro così raramente l’avevo sentito, anche considerando che l’impianto sonoro dell’Agglutination è tradizionalmente uno dei punti di forza del festival, e che fino agli Exodus c’era stato un suono potente e pulito. Comunque, essere riusciti a fare un concerto memorabile nonostante problemi del genere fa capire quanto abbiano suonato bene gli svedesi, e quanto nel contempo siano riusciti a coinvolgere il pubblico. Come al solito, ci si rivede l’anno prossimo; e se Google Maps vi consiglia l’astuta scorciatoia in mezzo alle pecore, vi consiglio di prendere l’uscita successiva.

15 commenti

Lascia un commento