Terminal Redux: perché tutti stanno (giustamente) uscendo pazzi per i VEKTOR

VEKTOR-Terminal-Redux-album-2016Non è solo perché Terminal Redux richiede una lunga assimilazione che ho aspettato un po’ per scriverci un articolo. Ultimamente non ho avuto molto tempo per ascoltare materiale nuovo e sono stato subissato da pareri entusiasti da gente di cui mi fido abbastanza. E il gioco delle aspettative frega anche noi vecchi tromboni. Non volevo quindi rischiare di scrivere una recensione freddina solo perché l’ultimo lavoro dei Vektor non è il Dimension Hatross del terzo millennio. Ora, date le tonnellate di pixel vergate nel frattempo (come giusto) al proposito, sarebbe pure abbastanza inutile ribadire il concetto: Terminal Redux è un discone e si piazzerà in buona parte delle playlist di fine anno degli scribacchini metallari dell’internet, compresa la mia. Proviamo quindi a sviluppare il discorso da un altro punto di vista: perché in tanti sono usciti pazzi per i Vektor?

Perché spaccano? Magari fosse così scontato. Anche nella nostra musica la meritocrazia spesso latita, altrimenti i Coroner, invece di sciogliersi un ventennio fa nell’indifferenza pressoché generale, avrebbero quattro ville con piscina a testa e sarebbero headliner in tutti i festival del globo terracqueo. Peraltro una delle influenze principali del suono dei Vektor (se non la principale, almeno all’inizio) è esattamente quel thrash tecnico che negli anni ’80 ti garantiva le lodi unanimi della critica e l’indifferenza più frustrante da parte del pubblico. Pensate ai Mekong Delta, agli Anacrusis, ai Watchtower (a proposito, si sono riformati), agli stessi Coroner, per non parlare di quei Voivod che sono forse la band con la maggiore proporzionalità diretta tra genio e sadico accanimento del destino della storia dell’heavy metal. Mentre mi arrovellavo, mi è giunta l’illuminazione durante una conversazione telematica con Charles, il quale ha sentenziato:

Terminal Redux è ignorante e “stupido” al punto giusto.

I Vektor stanno facendo un relativo, e meritatissimo, botto perché, pur conservando, sempre più sfumata, la solida identità thrash di cui sopra, hanno rimasticato a beneficio di un pubblico più vasto (e, in certi casi, più tradizionalista) quella che è stata, almeno in termini di numeri, una delle derive stilistiche più feconde del metallo di questi anni ’10: l’elaborazione di formule sempre più arzigogolate e complesse. In una parola: l’ingresso di prepotenza del progressive nell’approccio compositivo di molte nuove leve. E prendete il termine nell’accezione più vasta possibile. Ovvero, per me il gruppo prog metal più influente e importante degli ultimi vent’anni non sono stati i Dream Theater ma i Meshuggah, i cui epigoni non sono mai rientrati nei miei interessi. Sapete, il djent e certe derive moderne del death tecnico, cose così. Bisognerebbe avere le fette di coppa di testa su occhi e orecchie, però, per non rendersi conto che il vero fenomeno metallico di questo decennio è stato questo filone, ben più delle contaminazioni con post rock e shoegaze (già relativamente datate) e del doom reazionario che piace a noi babbioni debosciati. I Vektor hanno messo d’accordo tutti e tengono saldamente un piede nella modernità, pur avendo l’altro negli anni ’80. Una spaccata riuscita alla perfezione.

vektor

L’ottimo esordio Black Future aveva fatto attizzare soprattutto i nostalgici. In Terminal Redux c’è il techno-death anni ’90, c’è quello più moderno, c’è il progressive metal in senso stretto, ci sono perfino sprazzi postcore e black metal. A suonarlo però sono dei tizi con un look da Bay Area anni ’80 con un artwork che richiama Thresholds dei Nocturnus e una produzione che non è quella scintillante propria, in teoria, del genere. Dal vivo sono pure più grezzi di quanto ci si aspetterebbe dalle premesse (quella volta al Traffic, però, il batterista non stava bene; andrebbero rivisti). In questo senso sono “ignoranti e stupidi al punto giusto“. Suonano musica complessa con una padronanza dei mezzi impressionante senza mai tirarsela o fare gli splendidi, usando la loro tecnica per sperimentare le soluzioni più variegate e bizzarre possibili, la stessa filosofia che avevano band come gli Atheist, l’unico spirito possibile per percorrere queste sonorità senza mai masturbarsi sugli strumenti. Per questo attraggono sia il ventenne con una copertina dei Gojira sul desktop che l’anziano reduce. Se i nuovi standard si consolideranno anche su premesse simili, Terminal Redux resterà. (Ciccio Russo)

9 commenti

  • Ciccio dice una cosa molto giusta: le contaminazioni con il progressive sono una delle “novità” che più stanno mantenendo vivo e variegato il metal negli ultimi anni. Il punto è che non tutti ne sono all’altezza. Per suonare progressive BENE non basta scrivere pezzi da 10 minuti di cui 9 di assoli e farcirli di tecnicismi fini a se stessi: il rischio è di suonare come certe band death metal che a ogni pezzo sembrano dire “Guardate come siamo bravi e veloci, AMMIRATECI SACCHE”.
    Coi Vektor questo non succede, un po’ perchè l’immaginario da fumetto di fantascienza anni ’50 aiuta a non prenderli troppo sul serio, ma soprattutto perchè i pezzi hanno una coerenza, una coesione interna e una logica di fondo inattaccabili. I brani di Terminal Redux, per quanto complessi e tecnici, hanno un’anima e un senso, non sono solo sfoggi di perizia strumentale: ed è per questo motivo che i Vektor possono permettersi di fare brani da 13 minuti, con i cori femminili, gli stacchi acustici da Pink Floyd e pure le power ballad, senza mai suonare forzati.
    Bon, per me è l’album dell’anno per distacco, e probabilmente del decennio. Ammetto di esserci uscito pazzo, ma non mi stupirei se tra un po’ di anni ne parleremo come del Rust In Peace degli anni 2000.

    "Mi piace"

  • Lorenzo (l'altro)

    Ok, allora ci si vede tutti al Brutal Assault 2016 (Coroner+Voivod+Vektor(+Mastodon+Gojira+…))

    "Mi piace"

  • Ottima analisi. Aggiungo che per attitudine questi ragazzi ricordano quel modo di essere che uno come Chuck Shuldiner incarnava alla perfezione: passione enorme per il metal; consapevolezza (sempre ribadita) di far parte di qualcosa che si ama (vero Metallica?); riuscire a non tirarsela più di tanto e attirare così processi di facile identificazione con i fan.

    Mi ricorderò sempre di come erano vestiti i Death all’Auditorium Flog di Firenze (1993, tour con gli Anacrusis e quella sera suonarono pure gli Electrocution): nu jeans e na majett…(e Di Giorgio stava in ciavatte).

    "Mi piace"

  • Pingback: Azzeccare la reunion: GORGUTS – Pleiades’ Dust | Metal Skunk

  • Pingback: Il jukebox dell’Averno: i dischi del 2016 di Metal Skunk | Metal Skunk

  • Pingback: Blog Fire Death: le playlist 2016 dei tizi di Metal Skunk | Metal Skunk

Lascia un commento