Il ritorno dei NOVEMBRE e l’Italia patria della melodia
Nel 1997, quando uscì l’omonimo EP di debutto dei Lacuna Coil, Luca Signorelli scrisse su Metal Hammer che l’Italia, in un modo o nell’altro e al di là di qualsiasi genere musicale, era stata e sarebbe restata la patria della melodia. Nel commentare, con la giusta sorpresa, le qualità dell’EP, Signorelli sottolineava come quel sound fosse sì figlio dei Paradise Lost ecc. ecc., ma aveva un’italianità che andava fatta risalire alla nostra musica leggera, Sanremo compreso, che piacesse o no ammetterlo ai metallari. Proprio questo elemento permetteva ai Lacuna Coil di uscire da una altrimenti mera imitazione di altre band.
Che queste si rivelassero essere le prime e le ultime cose positive che si potessero dire sui Lacuna Coil, ancora non lo sapevamo. Ma l’osservazione di Signorelli mi ha dato molto da riflettere ogni volta che due dei miei gruppi preferiti, Novembre e Klimt 1918, se ne uscivano con un nuovo album. Sicuramente, c’entrava un po’ la malinconia dell’expat, ma mi sono spesso ritrovato a pensare che, effettivamente, senza Claudio Villa Roberto Murolo Domenico Modugno Mina Gino Paoli Fred Buscaglione Francesco De Gregori Francesco Guccini Fabrizio De André Piero Ciampi Massimo Morsello, né i Klimt né i Novembre avrebbero avuto granché da dire. Non c’entra solo il talento, non c’entrano le capacità tecniche, è una questione di melodie che paiono stare nel sangue. Io non capisco come facciano a capirli all’estero, i Novembre. Che cosa ci trovino, senza il bagaglio culturale inconscio necessario per comprenderli. Del resto gli unici forestieri (che fanno musica decente, s’intende) a spezzare una lancia per la canzone melodica italiana sono stati Erlend Øye e Mike Patton, il che è tutto dire.
Il fatto che, ora, uno di questi gruppi che quasi davo per persi (che fine han fatto i Klimt 1918?) ritorni con un singolo strappalacrime e un album in uscita il 1 aprile, riporta alla luce tutti questi fantasmi e la nostalgia per quell’EP dei Lacuna Coil (che ho riascoltato oggi per la prima volta in quasi vent’anni e che mi pare contenga intatta tutta la genuinità che la band perse un attimo dopo). Tornando ai Novembre, onestamente non riesco a trovare tutte queste grandi differenze e/o evoluzioni nel sound dall’ultimo The Blue, nemmeno nel drumming del nuovo batterista, ma mi sembra ininfluente. La musica italiana è rimasta nei Novembre ora come dieci anni fa, e mi pare il miglior aperitivo in vista dell’uscita di Ursa. (Giuliano d’Amico).
PS Il release party di Ursa si terrà a Roma il 9 aprile al Traffic. Seguiranno dieci date in tutta Italia. Io sarògiàalla volta del Roadburn, mannaggia. (Ciccio)
Riflessioni molto interessanti.
Ottimo ricordare l’acuto Signorelli, che scriveva cose profonde (anche se i suoi attacchi ai Morbid Angel restano imperdonabili).
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Il primo album dei Novembre, quello edito da Polyphemus rec., poco dopo il cambio di monicker (Catacomb), è un capolavoro assoluto. Mi dissocio dalla consueta, tristissima retorica del trvue metal head, tale per cui si stava meglio quando si stava peggio e giù a sperticare lodi al primo demo in cassetta degli Exodus, prima che Hammett avesse i peli sul pube. Anzi, era meglio quando i Celtic Frost ancora non erano freddi ma il gelo si sentiva a partire dal frigorifero vetusto della nonna di Gabry Tommaso Fischer. Insomma, è bello pure Arte Novecento, anche molto di più se prescindiamo dallo spleen ingenuo e meravigliosamente adolescenziale del primo disco. Però Swim seagull in the sky è qualcosa che risuonerà sempre col grigiore che rende vacuo lo scarto tra ciò che uno è a 18 anni e quello che vorrebbe essere. E che mai sarà, perché siamo esseri divisi e bla bla bla…S1, A sbarrato e giù con Sartre, Heidegger e Lacan.
Oggi invece mi pare che resti poco di quella band, delle magliette scolorite dei Bruttum e del drumming di uno che i piatti li faceca cantare (ciao Giuseppe). Resta il manierismo di cui sono vittime tanti, troppi gruppi italiani, stranieri, e salcazzi globalizzati. Viva la fregna e saluti a Venticello.
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