Avere vent’anni: IN FLAMES – The Jester Race
The Jester Race è il primo vero full degli In Flames. Certo, prima c’era stato Lunar Strain, ma è difficile considerarlo parte integrante del loro ciclo vitale per grossomodo gli stessi motivi per cui è difficile farlo per Skydancer dei loro cuginetti Dark Tranquillity: formazione bizzarra, genere indefinito, senso di indeterminatezza costante, mancanza totale di considerazione dell’album da parte della band – a partire dai live – e più in generale la sensazione di non stare a sentire un disco degli In Flames. Si era già iniziato a fare sul serio con l’ep Subterranean, ma è con The Jester Race che si arriva finalmente ad una forma compiuta e definita, sia nel suono che nella stabilità della formazione. Questo è anche l’album che per molti fa cominciare ufficialmente la fase del death melodico svedese, che poi si evolverà fino ad arrivare a lidi che vent’anni fa sarebbero stati impensabili.
Il death svedese dei primi anni novanta era già di per sé melodico: i primi Entombed o Dismember avevano forse più a che fare con gli Iron Maiden che con i Possessed, sia nella struttura dei pezzi che nelle melodie; rispetto al death americano, che ha nel proprio codice genetico la tendenza ad indurirsi, la controparte svedese ha sempre avuto una forte spinta all’ammorbidimento. E gli In Flames compiono un ulteriore passo in avanti in questo processo, fino a rendere fuori luogo la stessa definizione di death metal associata alla loro musica. The Jester Race è più vicino ai Maiden che agli stessi Slayer, per dirne una; anzi, è proprio il gruppo di Steve Harris la vera chiave per comprendere quest’album. Tutto gira intorno al songwriting di Jesper Stromblad, che all’epoca era particolarmente ispirato: ogni brano di The Jester Race, così come praticamente ogni altro brano mai uscito dalla sua penna, è una successione di riff maideniani e arpeggi folkeggianti suonati con un approccio inconfondibile. Senti un riff, una melodia, un arpeggio qualsiasi di questo disco e non puoi non pensare “cazzo, è Jesper Stromblad”, col corollario “cazzo, quanto spaccava Jesper Stromblad”.
Moonshield, il pezzo d’apertura, è forse la migliore cosa mai scritta dalla band di Goteborg, ed è un manifesto della loro poetica, quantomeno di quel periodo, in cui era tutto molto più ingenuo e non c’erano ancora delle dinamiche di genere da seguire. Dopo la falsa partenza di Lunar Strain, un bellissimo disco ma non un disco degli In Flames, The Jester Race è l’intuizione, la porta spalancata verso un mondo completamente inesplorato che solo un colpo d’ispirazione di Stromblad era riuscito ad aprire. Il risultato è un suono fresco, libero, magico, che non ha perso il suo fascino disincantato e fiabesco neanche ora, dopo vent’anni e dopo tutte le milioni di cose belle od orribili che da questo disco hanno avuto origine.
Mi è veramente difficile trovare qualcosa di interessante da dire, perché The Jester Race è alla fine semplicemente un disco di canzoni, all killer no filler, che contiene alcune delle cose più belle mai scritte in questo ambito musicale: Dead Eternity, Artifacts of the Black Rain, December Flower, Graveland, la titletrack, fino alla strumentale The Jester’s Dance e alla splendida Goliaths Disarm Their Davids, pur se incredibilmente scartata dall’album e acclusa al successivo ep Black Ash Inheritance. Ha un suono meraviglioso, imitato mille volte ma mai davvero riprodotto, e anche una splendida copertina di Andreas Marschall quando Andreas Marschall era il miglior illustratore del mondo. Fu proprio la copertina, con quel disegno che sembrava la prigione di Cassandra di Ken il Guerriero disegnata da Giger, a farmelo comprare. Ed è importantissimo, praticamente seminale, per la storia del metal europeo e, in prospettiva, mondiale; e fa strano il pensarci riascoltandolo adesso, a quanto sia stato seminale, questo disco che suona così dimesso e poco pretenzioso, con i membri che sembra stiano pensando solo a suonare, innamorati delle proprie melodie, senza pensare alla portata di ciò che stanno facendo. Forse è proprio quest’ingenuità a fare in modo che The Jester Race si faccia ascoltare adesso esattamente nello stesso modo e con la stessa fascinazione di vent’anni fa. Chi tra di voi non lo ha mai ascoltato faccia in modo di risolvere entro la giornata. (barg)
Esiste la tua vita prima e dopo aver ascoltato Moonshield e Artifacts of the black rain, a mio parere. Lunar strain secondo me è bellissimo e credo che come sensazioni che ti fa provare è molto più vicino a the jester race di quanto sembri. A Jesper si dovrebbe dire sempre e solo grazie
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Sottoscrivo ogni parola. Dalla copertina perfetta, a quella apertura di Moonshield, alla Moonshield stessa. Per me l’album potrebbe finire a Moonshield e sarebbe un capolavoro. Ma qui è tutto perfetto.
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Vi aspettavo al varco con questo disco :-)
Chiaramente voi “che sapete scrivere” avete colto in pieno tutte le sfumature di un album fenomenale, un vero e proprio capolavoro. Io gli il flames li avevo scoperti poco prima con subterranean ed ero già conquistato dal loro sound appunto molto maideniano (nonostante la stridula voce di henke forss che non rende giustizia al 100%). Mi ero appuntato sul calendario – cartaceo – la data di uscita di TJR e puntualmente lo comprai. Per almeno un paio di giorni non fui capace di andare oltre Artifacts…. ascoltavo in loop le prime 3 da quanto erano belle, per centellinare la scoperta delle successive tracce, tanto per dire l’effetto di quel disco. commenti in ordine sparso:
– marschall all’epoca insieme a “necrolord” wahlin fece le cover più belle, sia in campo death che power metal. anche lui ha portato anime a satana con la matita, forse più di quante ne ha trintate Alissa white gluz con le bocce e le scosciate.
– gli strumentali!! fino alla bellissima man-made god ogni album degli in flames aveva degli strumentali meravigliosi… consetudine persa con la progressiva americanizzazione del loro sound. Vedere che adesso jesper posta su fb anche i video dei madball ed è diventato un tamarro del bronx …devo essere sincero, mi mette un po’ di tristezza anche se gli voglio bene per quanto ha già dato al metal.
– i fredman studios: prima o poi dovrete scrivere due righe anche sul suono che fredrik nordstrom ha tirato fuori, sulla tecnica di registrazione che ha letteralmente plasmato IL gothenburg sound…. altro che ross robinson di sto cazzo.
– voce: nelle ristampe successive dei primi album ci sono le tracce demo con jocke gothberg alla voce, e mi sono sempre chiesto cosa sarebbero potuti essere gli IF se avessero tenuto il ben più feroce ex marduk.
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Però, video dei Madball o meno, i The Resistance non sono affatto male, peccato se ne sia andato Ljungstrom…
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Si sono d’accordo (anche su ljungstrom), anche se continuo a preferire quanto fatto con i dimension zero
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jesper ha mollato oggi anche i The resistance. bestemmie forza nove.
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Eh, depressione e alcolismo…
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L’unica nota negativa di questo capolavoro è la font con cui hanno scritto il titolo. MA CAZZO!!!
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tekton bold… uno dei font adobe che ti trovavi installato su ogni mac
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non è il comic sans?
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ah, bastardi, mi avete fatto commuovere.
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Un disco commovente, con melodie di chitarra che hanno il sapore di un ricordo perduto, di un fuggevole istante la cui memoria sta svanendo, graziato in più da una produzione perfetta. Lunar Strain è più acerbo e viscerale, Subteranean ha Biosphere, questo sublima il tutto ad un livello superiore. Capolavoro
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Ri-ascoltato oggi: la versione con in più “Black-Ash Inheritance” include una certa Behind Space (Live), originariamente presente in “Lunar Strain” con un certo Mikael Stanne, che sembra cantata da quest’ultimo, appunto!
Tra l’altro, mi sembra che l’attacco sia stato riciclato dallo stesso nella sua futura band..ma, non riesco a ricordare dove?! O.o
Comunque, Io li preferisco sempre e comunque il capolavoro dei rivali: “The Gallery”!
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Eh, ricordo quando un mio compagno alle superiori mi fece la cassettina di Undisputed Attitude ed in coda mi mise 2 pezzi di quest’album. Non era il mio genere ma dell’assolo di Wayfaerer mi innamorai subito.
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Madonna, che razza di magone. A quel tempo ascoltare dischi come questo o come “The Gallery” fu una totale epifania. Come aprire una finestra ed affacciarsi su un panorama meravigliosamente nuovo ed inesplorato.
PS e cazzo, si’, gli A canorous quintet. Veramente di retrovia ma alcune cose carine le hanno fatte..
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