Avere vent’anni: HELLOWEEN – The Time Of The Oath


Nel periodo 1987/1988 ero troppo piccolo per apprezzare i due Keepers degli Helloween, men che meno Walls Of Jericho ed il maxisingolo Judas, che oltretutto erano anche più duri, musicalmente parlando, e decisamente poco appetibili per le orecchie di un dodicenne che cominciava giusto allora a scoprire qualcosa degli AC/DC e dei Queen. Poi sapete come cominciano queste cose, no? Hai un fratello o una sorella più grande, oppure un compagno di scuola, o un amico che ti passa il disco, la cassettina, ti fa sentire qualcosa in cui è un poco più addentro di te, e insomma ti introduce a certe sonorità che da solo difficilmente scopriresti così per caso. Tenete presente, cari lettori, che sto parlando di qualche era geologica fa, quando non c’era né internet né youtube e qualche tirannosauro ancora girava. Più di qualcuno per la verità.

E insomma arrivai ai quattordici anni che non conoscevo un accidente di rock, tolti appunto i Queen, gli AC/DC e qualche altro gruppo di cui magari passava il video su Deejay Television. Roba AOR, per lo più. Ricordo che mi piaceva un sacco Richard Marx e qualcun altro. Mi piaceva anche il rap, e prima che storciate il naso: non me ne frega un cazzo che per voialtri fresconi non è musica oppure  robaccia tout-court: come per ogni cosa c’è del buono e all’epoca qualcosa di quel rap che passava in tv o per radio mi piaceva abbastanza, anche se non capivo nulla di quello che farfugliavano ‘sti tizi col cappellino storto e la sveglia al collo. Mi piaceva il ritmo. Ma poi, voglio dire: quanti di quelli che ascoltano rock, metal o comunque musica anglosassone capiscono al volo i testi? O li capiscono comunque? Qualcuno o più di qualcuno? Va bene, ma quanti di quelli che hanno cominciato a sentire ‘sta musica verso i quindici o sedici anni capivano cosa diavolo dicesse il cantante? Boh, penso pochi e tolti casi di bilinguismo ab origine (che non è avere la lingua biforcuta) anche meno di quelli. Per lo più, prima ancora di capire cosa dice, quello che ti acchiappa della voce in una canzone è la melodia che canta. Dopotutto tradizionalmente un cantante serve a quello, non c’è mica da stupirsene. Sto divagando, ma tanto non avete niente di meglio da fare, no?

E quindi io fino a quell’età andavo avanti sostanzialmente con poco rock, poco rap e quello che passava la tv. Musica italiana meno che niente anche allora, che mi ha sempre fatto discretamente schifo salvo qualcosina che adesso manco mi viene in mente. Ero figlio unico, a casa s’ascoltava il liscio con la fisarmonica. Che volete, mio padre amava molto la musica ma riteneva il rock una musicaccia (generazioni assai differenti e gusti assai differenti, non c’è da stupirsene) e mia madre non era proprio interessata all’argomento in generale. Il fatto di crescere in una cittadina del cazzo medio-piccola, provinciale ed ultra borghese, ovviamente non aiutava affatto. 

Poi a quattordici anni ho conosciuto questi merdoni allucinanti che ho frequentato assiduamente per i successivi tre annetti. Qualcuno poi anche più a lungo in effetti, fino a circa vent’anni, ma giusto per affetto, anche quando avevo capito da tempo che non ne valeva la pena. Che volete farci, a volte mi affezionavo alla gente, anche se spesso non se lo merita. Molto spesso, anzi. Comunque questi erano tutti più grandi di me di almeno un tre anni, ed uno in particolare di loro m’introdusse agli Iron Maiden: praticamente l’unico lato positivo della mia frequentazione con ‘sto tizio, che per il resto era un rincoglionito allucinante con la paura di vivere addosso, ipercomplessato e represso oltre ogni dire. Peraltro il fatto che in pratica ascoltasse da un lato Smiths, Cure, Morrisey e dall’altro Motley Crue, Poison e Cinderella senza praticamente NIENTE ALTRO in mezzo (tranne appunto poco dei Maiden) avrebbe dovuto dirla lunga sulla caratura del soggetto in questione, ma che volete farci, dopotutto ero alle soglie della pubertà e non avevo chissà quali esperienze o mezzi per valutare meglio le persone o le situazioni in generale.

Comunque verso il, credo, 1992 scoprii che questo tizio aveva anche una cassettina copiata di Keeper II. Fu del tutto casuale, anche se non ricordo esattamente la dinamica di come accadde. Era tutta impolverata, mi disse che gliel’aveva passata qualcuno tempo prima, aveva pure il logo rifatto a penna con tanto di zucca e fu proprio quel particolare ad incuriosirmi. Gli chiesi che roba fosse e con una scrollata di spalle mi rispose che li aveva ascoltati mezza volta ed erano tipo i Maiden, nulla di che. Per farla breve me la feci prestare, di quel genere di prestiti a termine talmente lungo che diventa indefinito, e per i successivi mesi ascoltai per lo più quella. helloween-headbang-2-oOh, nel frattempo comunque sentivo anche Guns’n’Roses e Metallica, eh. Metallica giusto quello che passava la tv, quindi principalmente Enter Sandman e Nothing Else Matters. Preferivo i Guns, complice il fatto che erano vicini ai gusti glam del tizio e che quindi li ascoltavamo parecchio. Oltretutto mi piaceva parecchio Slash come chitarrista (mi piace tuttora per la verità) e comprai la mia prima chitarra elettrica, un’imitazione coreana di un Les Paul Custom nera, pesantissima e molto poco suonabile, proprio per quello. Poi scoprii Malmsteen e tutto divenne diverso, ma la Gibson Les Paul ha continuato a piacermi, come Slash, tanto che anni ed anni appresso ne comprai una originale degli anni settanta. Non la mia chitarra elettrica preferita in assoluto e neanche la più suonabile di sempre, ma dovevo averla, sapete com’è. O forse no, non lo sapete.

Insomma mi innamorai di Keeper II e poi a ritroso anche di Keeper I. Che poi non mi sembravano realmente così simili agli Iron Maiden, per la verità. Cioè sì, c’erano dei punti di contatto, ma più che altro gli Helloween dei Keeper erano una sorta di versione potenziata dei Maiden, più veloci, col cantante che se possibile andava ancora più in alto del Bruce Dickinson dell’epoca. Come dire, mi piaceva Fear Of The Dark (uscito in quegli anni) ma in senso assoluto Keeper II di più, anche se, ripeto, non erano realmente confrontabili. Nel frattempo nell’unico, sfigatissimo negozio di dischi che avevo disponibile all’epoca, trovai anche i vinili di Pink Bubbles Go Ape e Chameleon (oltre ad una compilation dei Judas Priest piuttosto ben fatta): Chameleon da allora credo d’averlo ascoltato non più di due volte di fila, mentre invece qualche pezzo carino in Pink Bubbles Go Ape effettivamente c’è, tipo The Chance, Someone’s Crying o Kids Of The Century, non è proprio tutto da buttare ma non si tratta neanche degli Helloween che amavo, cosa che in effetti è rimasta, ovvero: quegli Helloween non esistono più. Ne ebbi ulteriore conferma proprio quando uscì Master Of The Rings, che stavolta presi fresco di stampa complice il fatto che nel frattempo era spuntato un altro negozio di dischi, stavolta specializzato in rock e metal, oltre che nel depauperare incauti appassionati del genere.


Non fraintendetemi: adoro Master Of The Rings ed ero supercontento che gli amburghesi fossero tornati a sonorità più congrue alle loro radici, ma la magia era svanita: Andi Deris era un ottimo cantante ma non era Michael Kiske, Roland Grapow un altrettanto ottimo chitarrista ma non era certo Kai Hansen (e neanche Yngwie, anche se lo desiderava con tutto il cuore) e Uli Kush un batterista più che buono ma non lo sfortunato Ingo Schwichtenberg, purtroppo morto suicida l’anno prima.

Con tutto questo, ripeto, Master Of The Rings è un album notevole. Le canzoni suonano fresche, si sente la voglia di rilanciarsi di Michael Weikath, non è inutilmente pretenzioso nel tentativo di rincorrere i Keepers (quello l’avrebbero tentato un decennio e più dopo) ed oltretutto è prodotto benissimo. Il successivo The Time Of The Oath, per venire finalmente all’argomento di questa lunga divagazione, non è male, anzi è un buon disco considerando che viene da una band ancora in fase di rilancio: ci sono dentro ottimi pezzi, tipo l’arcinota Power, Before The War oppure la titletrack, c’è un capolavoro assoluto che risponde al nome di Kings Will be Kings, purtroppo sempre snobbata dal vivo, epperò anche un bel po’ di riempitivi, specie quelli scritti da Kush tipo Wake Up The Mountain, A Million To One o il divertissement Anything My Mama Don’t Like, che però a differenza di altri pezzi simili (tipo Rise And Fall o Perfect Gentleman) non è che mi sia mai risultato troppo simpatico. Pure la lunghetta Mission Motherland è piuttosto stucchevole. O forse sbagliai io nell’accostarla alle suite dei Keepers, boh. Fatto sta che non c’impazzisco neanche adesso. Cosa rimane? Ah sì, le ballate, Forever And one ed If I Knew, la prima nota ai più per essere stata oggetto di plagio da parte di Al Bano, la seconda manco quello. Non che siano brutte, solo che non è che mi siano rimaste particolarmente impresse, come dire.

E quindi, per come la vedo io, The Time Of The Oath è il meno riuscito dei primi tre album degli Helloween dell’era Deris. Il migliore rimane il successivo Better Then Raw, di cui eventualmente vi parlerò prossimamente, cogliendo magari l’occasione per narrarvi del mio primo giornaletto porno o qualche altra fesseria. Sempre che abbiate tempo da perdere, s’intende. (Cesare Carrozzi)

 

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