La musica del Demonio

rotting christ - rituals

La mia paura, quando parlo di determinati gruppi, è di essere poco credibile. Sembra quasi che io sia il fanboy acritico che si mette pavlovianamente a sbavare appena legge il logo dei, per esempio, Rotting Christ. Per questo per Rituals ho tenuto le aspettative il più basse possibile e mi ci sono approcciato mantenendo tutto il distacco di cui fossi umanamente capace. Così durante i primi ascolti il risultato è stato che mi è comunque piaciuto subito, però con la riserva che fosse molto inferiore rispetto al precedente Katà ton Daimona Eautou. E invece ora, al cinquantesimo ascolto, non so ancora se gli sia superiore, ma di sicuro siamo a quel livello. Che è un livello altissimo, e lo sarebbe anche se si stesse parlando di un gruppo nel pieno della creatività giovanile e non di monumenti viventi con venticinque anni di carriera sulle spalle e dodici dischi di cui almeno dieci praticamente perfetti.

I Rotting Christ non hanno mai fatto due album uguali, ma la loro cifra stilistica è sempre riconoscibile; e, dopo la peraltro meravigliosa sbandata gotica a cavallo dei millenni, quindi diciamo da Genesis in poi, è come se avessero cercato di sintonizzarsi su una obliqua frequenza ritualistica basata su un fragilissimo equilibrio molto difficile da mantenere. Una frequenza cerebrale più che stilistica, davvero molto simile alle vibrazioni create durante le liturgie che, dall’alba dei tempi e in ogni angolo del mondo, l’Uomo ha tentato di creare per dare una forma sonora alla spiritualità e mettersi in comunicazione col Trascendente. In questo senso Rituals è il titolo più azzeccato che potessero trovare. A differenza di Katà ton Daimona Eautou che era composto da canzoni indipendenti e autoconclusive, Rituals è un blocco unico probabilmente concepito per essere ascoltato tutto insieme. Nondimeno, ogni pezzo è un singolo rituale che mantiene dignità di autonomia se non altro formale: i vari idiomi usati, le ospitate, alcuni cori particolarmente ficcanti, e via dicendo. Tutto ciò dà ancora più significato alla loro abitudine di scrivere testi che sono spesso niente più che una mera elencazione di demoni e divinità sumeri o cretesi o assiro-babilonesi o chissà che altro. 

Il disco, dal suono caldo, sensuale e tribalistico come mai nella loro carriera, è stato suonato dai soli due fratelli Tolis, con Themis alla batteria e Sakis, unico compositore, che si occupa tutto il resto; è tuttavia pieno di ospiti alla voce, che vengono usati nel modo migliore come nel caso di Vorph dei Samael, francofono, che rende possibile la magnifica Les Litanies de Satan, e Danai Katsameni, un’attrice teatrale, che in Ἐλθὲ κύριε oltre al demonio evoca anche il fantasma di Diamanda Galas. Che poi, a quanto ho capito, ogni pezzo di Rituals è davvero letteralmente una diversa invocazione al Maligno. È tutto molto credibile, e penso che questa volta i Rotting Christ, dopo venticinque anni che ci provano, forse ci riescono davvero a far sentire la puzza di zolfo. Questi hanno un profilo bassissimo e un’attitudine da bar dello sport con pacche sulle spalle e gare di rutti, e zitti zitti alla fine mi sa che ce la faranno sul serio a evocare il demonio.

Rituals è un disco che per essere compreso va ascoltato a ripetizione, anche di sottofondo quando si cucina il riso con le verdure, ma continuamente, per sintonizzarsi su quella lunghezza d’onda, per comprendere quelle litanie e quei lampi ripetuti in modo ipnotico, per percepire quella vibrazione liturgica che, come solo il più autentico e migliore black metal sa(peva) fare, riesce a cogliere l’autentico significato di musica del demonio. E il fatto che riesca a farlo aprendo l’album con un irresistibile e tamarrissimo coro da stadio IN NOMINE! DEI NOSTRI! SATANAS! LUCIFERI! EXCELSI! è solo un’ulteriore dimostrazione di due cose in particolare: che i Rotting christ sono uno dei più grandi gruppi estremi mai esistiti e che davvero, davvero, davvero la gente non sa che cazzo si sta perdendo a non essere metallari. Disco dell’anno.

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