MEGADETH: in difesa di ‘Dystopia’

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Lo confesso per la prima volta: contrariamente a quanto avviene con Iron Maiden e altri gruppi storici, di cui non mi frega più nulla ormai da anni e che nemmeno ascolto più quando fanno uscire qualcosa di nuovo, ho sempre dato almeno un ascolto ad ogni nuovo album dei Megadeth, nella segreta speranza di trovarci, ogni tanto, quel riff o quel guizzo che non ti aspetti ma che potrebbe arrivare da uno che ha scritto pezzi come Mechanix o Bad Omen. Speranza che stavo proprio per abbandonare in seguito all’uscita dell’immondo Super Collider. Eppure a Dystopia un ascoltino non gliel’ho voluto negare, dopo che quanto avevo sentito nelle anticipazioni non mi era esattamente dispiaciuto. Ora non voglio dire che il disco in questione sia entusiasmante o chissà che ma, in tutta franchezza devo ammettere che pezzi come Fatal Illusion o The Threat is Real si fanno ascoltare. Probabilmente tra un mesetto avrò già mollato Dystopia ma nell’immediato devo dire che è godibile e i brani hanno un loro perché.

Kiko Loureiro fa il suo lavoro senza eccessivo zelo ma suonando bene le sue parti. Il nuovo batterista (Chris Adler dei Lamb of God) è bravo. E c’è pure una cover di Foreign Policy dei miei amati Fear, che non fa di certo male. Quasi quasi gli perdono pure la terrificante The Emperor, veramente fastidiosa e ridicola. In generale le strutture dei pezzi sono quelle classiche, con assoli incrociati nel tipico stile dei californiani e riff e arrangiamenti che, nel loro svolgimento, ricordano qua e là pezzi di Rust in Peace o Peace Sells… (prendete il paragone con questi due dischi imprescindibili con le dovute cautele, per favore). Insomma, assolutamente nulla di nuovo, ma tutta roba che tranquillizza. Sarebbe ingiusto da parte mia aspettarmi qualcosa di sbalorditivo. Preferisco constatare che almeno sanno ancora come si scrive un pezzo che faccia scapocciare un minimo. In fin dei conti, se si esclude Endgame, posso asserire che questo è il miglior disco che i Megadeth hanno fatto dalla metà degli anni novanta. E gli va anche riconosciuto che si son saputi riprendere un minimo dallo stato in cui erano caduti nei precedenti due dischi. Siamo tutti consapevoli del fatto che stiamo parlando di un gruppo che il suo momento di gloria lo ha vissuto più di venti anni fa, che ve lo dico a fare. Sarebbe quindi inutile per me fare paragoni con quello che fu e che mai più sarà. Preferisco rapportarli a quello che furono DOPO Youthanasia, il vero spartiacque della loro carriera. Non avrebbe senso, come già detto, paragonarli a quei dischi che tutti noi ben conosciamo. Siamo nel 2016 e non nel 1988, purtroppo.

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