GHOST – Meliora (Loma Vista)

ghost-melioraI Ghost sono probabilmente l’unico gruppo uscito negli ultimi cinque anni che possiamo immaginare headliner a un festival grosso tra tre o quattro lustri. Per quanto deprimente possa essere questa constatazione, così è. Sebbene le ultime due annate siano state piuttosto mosce, io non sono uno di quei soloni che sostengono che l’heavy metal sia ormai stecchito. A livello underground esce ancora parecchia roba interessante. A livello underground, però. Quello che non c’è più – e che rischia di condannare la nostra scena a una progressiva marginalizzazione, una volta che i grandi vecchi che ora riempiono i cartelloni del Wacken o dell’Hellfest si saranno ritirati per motivi anagrafici – sono le giovani band che si impongono nelle classifiche e trascinano una nuova generazione al metallo, come possono essere stati i Sepultura per me o gli Slipknot per gli adolescenti degli anni zero. Non ho bisogno di spiegarvi quanto e perché ciò sia preoccupante. Nel frattempo ci accontentiamo del relativo successo commerciale dei Ghost, sui quali non avevo mai avuto un’opinione troppo strutturata fino all’uscita di questo loro terzo disco. Il titolo suona presuntuoso ma ci prende: Meliora è il lavoro più maturo degli svedesi, se non il più riuscito e basta. Meno pulito, leccato e tastieroso di Infestissumam (che a me non aveva fatto impazzire), più compiuto e ragionato del comunque suggestivo debutto. Se la già sottile vena doom degli esordi è pressoché svanita, le chitarre di Mummy dust giustificano quell’evocazione dei Mercyful Fate che in passato aveva soprattutto una valenza estetica. La vera anima dei Ghost è, però, un’altra.

Papa Emeritus e i suoi ghoul senza nome sono riusciti a raggiungere determinati traguardi, anche giusto a livello di esposizione, non solo per l’attitudine esoterica da supermercato (che a noi piace tanto) e la gimmick dei travestimenti (che aiuta ma non regge se non c’è sostanza dietro). I Ghost di buono hanno il parziale recupero di quella filosofia artistica che aveva reso gli anni ’90 un periodo così creativo per la nostra musica: l’evoluzione attraverso la contaminazione, con una dose supplementare di paraculaggine. C’è un vago retroterra heavy metal ma c’è anche tutto quello che è successo nel rock di area alternativa dal 2000 in poi: la new wave rediviva, il post rock meno ossessivo, l’indie-pop alla Kent. È questo il segreto del loro botto, oltre, ovviamente, all’immediatezza e all’accessibilità estrema dei loro pezzi, tra ritornelli che ti si piantano nel cervello (Deus in absentia, l’irresistibile He is, tra rock radiofonico americano e power ballad ottantiana) e giri stupidissimi ed elementari che, in un contesto così piacione, finiscono tuttavia per funzionare alla grande. Insomma, li puoi mettere di sottofondo anche con la fidanzata o gli amici non adepti a cena. Alla lunga continuo a trovarli un po’ stucchevoli ma comprendo benissimo perché piacciano a così tanta gente. (Ciccio Russo)

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