Avere vent’anni: THE SMASHING PUMPKINS – Mellon Collie and the Infinite Sadness

Mellon Collie è un disco di frammenti; sia perché ogni canzone è scollegata dalle altre ed autosufficiente rispetto al contesto, sia perché i suddetti pezzi hanno la straordinaria capacità di appiccicarsi a dei ricordi specifici: sfido chiunque abbia amato questo disco a risentire Stumbleine o Here is no Why senza ricollegarle immediatamente a frammenti del proprio vissuto, peraltro per qualche motivo tra i più intimi e cari che uno si porta dentro, tanto che è anche complicato parlare di Mellon Collie così, con disinvoltura, senza caricarlo di esperienze e ricordi personali. In questo senso si potrebbero avere milioni di recensioni diverse del disco, una per ognuna delle persone che lo hanno amato e continuano ad amarlo; e, proprio per questo motivo, anche se ora più che mai mi verrebbe naturale parlare delle mie esperienze legate a questo disco, non lo farò; l’ho fatto e lo continuo a fare per molti altri dischi, ma per Mellon Collie sarebbe ridondante – e peraltro improbo, perché non finirei mai di parlarne.

Da un punto di vista compositivo Mellon Collie è un disco di frammenti, dicevamo, perché ci sono molte, troppe canzoni, massimamente disomogenee tra loro, tanto da rendere quantomeno faticoso l’ascolto del disco intero. Di sicuro non c’è motivo per ascoltarlo tutto di fila; non è stato concepito per questo, e basta farlo una volta sola per rendersi conto dell’insensatezza della cosa. Questa sua caratteristica è intimamente legata alla personalità ambivalente di Billy Corgan, che da un lato possiede una sensibilità profonda e delicata e dall’altro cova un astio profondo verso sé stesso e il mondo circostante sintomo di una personalità autodistruttiva e sinceramente misantropica (con punte di purissima misoginia come raramente si erano mai viste); una pulsione di morte esplicata perfettamente anche da certi accostamenti nella scaletta: soprattutto per come i due singoloni 1979 e Tonight Tonight sono seguiti dai pezzi più rumorosi e nonsense dell’intero album, e forse dell’intera carriera degli Smashing Pumpkins, almeno fino a quel momento. È come se Corgan si facesse schifo da solo per essersi messo a nudo in due composizioni così dolci e meravigliose come le suddette, oltretutto prevedendo che l’avrebbero fatto diventare ricchissimo e famosissimo, e quindi dopo ci mette quegli accrocchi insensati di casino, feedback, nausea e retrogusto di vomito in gola di Jellybelly e Tales of a Scorched Earth, i pezzi che più di ogni altro hanno dato un senso all’esistenza del tastino skip. Quindi l’ascoltatore casuale, che magari non aveva mai sentito Gish e Siamese Dream, sentiva i singoli alla radio, comprava il disco, faceva partire la delicatissima intro per soli piano e archi seguita da Tonight Tonight, e poi si faceva la cacca addosso appena partiva Jellybelly. Una scelta  che sembra fatta apposta non tanto per spezzare l’atmosfera, quanto per fare in modo che non si crei proprio, un’atmosfera, lasciando che ogni canzone mantenga un’autonoma ragion d’essere. Peraltro Corgan voleva che Jellybelly fosse il primo singolo estratto dall’album, poi ditemi se questo non sta veramente male. 

È un album fondato su un sottilissimo equilibrio, frutto dell’ego ipertrofico di Corgan, sommerso da barocchismi e ingenuità e che probabilmente in mano a qualsiasi altro sarebbe stato una porcata immonda. Non riuscirei a immaginare una Porcelina of the Vast Oceans suonata da altri, ad esempio; magari Zero o Bullet with Butterfly Wings sì, ma resta il fatto che sono pezzi che chiunque altro avrebbe inserito in un contesto più omogeneo, mentre qui sono incastrati tra composizioni che sembrano uscire da periodi completamente diversi nell’evoluzione e nel mood di un gruppo; sembrano, appunto, perché in realtà sono state chiaramente composte tutte insieme. L’equilibrio si spezzerà immediatamente dopo, e Billy Corgan finirà fagocitato dalla sua stessa prolificità (che ha parecchia assonanza con prolissità) e dal suo cieco odio autodistruttivo, finendo col cacciare tutti, poi riprenderseli, poi ricacciarli, facendo dischi che sarebbe meglio non avesse fatto, e diventando per qualche motivo che io non comprendo un idolo assoluto per gente messa malissimo che ha continuato a seguirlo in ognuna delle sue innumerevoli uscite discografiche. Perché Billy Corgan non c’è mai stato troppo bene con la testa, ma i suoi fan estremisti stanno addirittura peggio di lui.

Infine, il titolo. Melancholy and the Infinite Sadness. L’ho capito tardissimo il gioco di parole. Il senso ultimo dell’album è nel suo titolo: la malinconia, e la tristezza cosmica che ne deriva. Per questo si avvinghia ai tuoi ricordi, per questo ogni volta che lo senti riesci quasi a provare di nuovo l’odore, il sapore, i colori di un qualcosa che associ a questa o a quella canzone. Mellon Collie è la nostalgia, il malessere rassegnato e astioso associato alla consapevolezza che quello che è stato non sarà mai più, e l’odio per ciò che ti circonda – perché non è e non può essere ciò che è stato. I miei coetanei sono fortunatissimi ad aver amato Mellon Collie durante l’adolescenza, non solo perché è uno dei dischi più belli degli anni novanta, ma soprattutto perché non può esserci disco migliore per ripensare ai bei vecchi tempi. Oltre al fatto che i testi, contestualizzati intorno alla personalità di Corgan, sono tra i più vividi e potenti che abbia mai letto; ad esempio in Bodies, forse la mia preferita dell’album, c’è una delle massime che ha maggiormente segnato la mia vita e quella di tanti altri come me:

love is suicide

che appunto detta da qualcun altro, in qualche altro contesto, sarebbe potuta essere una cosa stucchevole e idiota stile Baci Perugina al contrario, mentre inserita in un disco del genere viene impreziosita da tutto quello che c’è prima e dopo; come quei concetti che possono essere banali o geniali a seconda di chi lo dice, come lo dice, quando lo dice e così via. E ancora: in Ugly, una delle tante b-side dei CINQUE singoli tratti dall’album (raccolti in un cofanetto di cui ho parlato qui e da cui segnaliamo quantomeno la splendida The Boy), Corgan parla del fatto di essere brutto; e riesce a farlo in modo disturbante e sinistro, con il vittimismo di facciata che diventa odio e voglia di far esplodere il mondo con te sopra. O l’amarissima Love, che comincia emblematicamente con la frase to my mistakes of cowardice e continua vomitando bile verso il mondo femminile e ancora di più verso il mondo maschile, che ci casca ogni volta. Billy Corgan è uno di noi, lo è sempre stato, per quanto probabilmente se ci conoscesse ci odierebbe al pari degli altri. Noi però non possiamo che essergli grati per aver dato forma e parole a sensazioni che non avremmo mai saputo da che parte cominciare a descrivere, e che tuttora non riusciamo a descrivere senza usare le sue stesse parole. Grazie Billy, davvero, anche se ci faresti saltare in aria insieme a te stesso e al mondo. (barg)

22 commenti

  • Questo disco è…è. Non trovo altri aggettivi per descriverlo, questo come molti altri dischi non meritano aggettivi, certo si può commentare ma rimane solo ed esclusivamente l’opera maxima di una band che ha segnato un’epoca e una generazione. Hai detto giustamente che questo album si avvinghia ai tuoi ricordi e spesso i ricordi che portano alla memoria gli S.P fanno solo male, perchè non guardi al passato come un qualche cosa che hai vissuto e che ricorderai con piacere, ma guardi al passato e vedi una sorta di tela nera, dove le immagini potevano essere diverse…bell’articolo.

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  • Lorenzo (l´altro)

    Quando ho smesso di skippare su Jellybelly, a undici anni, sono diventato metallaro.

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  • Scrivete spesso, e giustamente, che la gente non sa cosa si perde a non essere metallari. Mi permetto di aggiungere che la gente non sa nemmeno cosa si perde (anzi, si è persa) a non aver vissuto gli anni ’90 dell’alternative rock. Questo disco è il malessere inciso su nastro magnetico, è un andirivieni sull’ottovolante dei sorrisi falsi e autentici, della nostalgia e della spensieratezza, dello schifo e dell’odio contro il mondo.

    “As you can see there’s no one around”.

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  • grande robbè, bodies è anche la mia preferita e davvero solo lui si poteva permettere di cantare una cosa come love is suicide senza essere ridicolo.
    la mia breve a sto punto è inutile, mi sa che la butto nel cesso.

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  • Lorenzo (l´altro)

    Ammettiamolo, se Corgan avesse deciso di condensare il Collie in un cd, non so, una sessantina di minuti, i migliori (e giá ci arebbe da sacrificare un bel po´di grazie) ora non saremmo quí a discutere, la musica rock sarebbe finita il giorno dopo per manifesta impossibilitá di scrivere un disco piú perfetto, tutti i musicisti si sarebbero dati al giardinaggio o al golf. In qualche modo ci ha salvati dal suo stesso genio.

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    • mah non lo so, magari non è un album del tutto a fuoco ma io mellon collie lo vedo un po’ come il white album. la band lo ha concepito per essere un mostro quindi mi è difficile immaginarlo in formato ridotto.
      per quanto mi riguarda comunque non riuscirei a tagliare più di un paio di pezzi

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      • Lorenzo (l'altro)

        Concordo in pieno. Dico però che se la avesse fatto una selezione di dodici pezzi, ovvero i singoli più qualche altro brano grunge come Here is no why e Muzzle, per esempio, senza stranezze o gemme psichedeliche non sarebbe più il disco che amiamo, ma avrebbe frantumato tutta la concorrenza in termini di gloria e vendite (che pure non hanno scherzato). Per fortuna però abbiamo Porcelina, Ruby, Lily…

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  • Bella recensione di un album molto particolare… Dite quello che volete ma Corgan è un genio!

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  • melodie belle, ma la voce di zio fester proprio non riesce a piacermi…mi smonta l’entusiasmo al massimo, forse se uscisse una versione karaoke… preferisco 100 volte ascoltarmi i cd usciti in quel tempo di Motorpsycho (timothy’smonster, non so se mi spiego…), Pearl Jam, Dinosaur jr….

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  • jellybelly sarebbe brutta??? ma seriamente??? eh bon ah.

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    • Lorenzo (l´altro)

      Non mi sembra che nessuno abbia mai osato dire che Jellybelly sia brutta. Ma io mi ricordo esattamente l´effetto che mi fece all´epoca, Una capocciata sul naso dopo una carezza.

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      • mah, barg lo inserisce nei “pezzi che più di ogni altro hanno dato un senso all’esistenza del tastino skip”. a casa mia vuol dire che gli fa schifo, e per me è una boiata… lammoth del guardiano, ecco un pezzo che se non skippi perdi trenta secondi della tua vita… così per dirne uno eh

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      • Lorenzo (l'altro)

        Quando senti Tonight Tonight alla televisione, compri il disco, te la trovi come seconda traccia, non sai cos’è il grunge, figurati il metal, e arriva Jellybelly, ecco che premi skip. La prima volta, poi una seconda… poi chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire comincia a lasciare andare il disco. A me c’è voluto un po’.

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      • beh messa così posso darti ragione…

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      • sì effettivamente intendevo quello che dice lorenzo, forse ho usato delle parole un po’ ambivalenti. il mio discorso su ‘jellybelly’ deriva tutto dal contesto: se si ascolta il pezzo da solo, senza passare prima da ‘tonight tonight’, dà tutta un’altra impressione. il problema è proprio l’accostamento con ciò che viene prima.

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  • Madonna, “Bodies”… Quanti ricordi con questo disco

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  • Io credo che lui é metallaro abbestia, il corgan, grande disco!!

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  • Bargone scrivi #dadio, non so cheffai nella vita, ma fossi in te ci proverei: scrivilo questo romanzo dai, Federigo Tozzi, Rober Mc Liam Wilson, una roba tua sugli anni ’90, fregandotene di trame e plot ma sempre tenendoti a ridosso del sentimento, come fai in questi articoli…

    stima.

    PS: Roberto S. vi legge.

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  • Condivido ogni parola delle recensione. Tuttavia resto intimamente (e nostalgicamente) più legato a Gish e Siamese Dreams… Ahhhh, sigh…

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  • Che cazzo di discone. Io sono più giovane e lo scoprii (li scoprii) alcuni anni dopo (era il 2001), resta uno dei miei dischi preferiti nonchè uno dei più bei dischi rock, e forse della musica tutta, di sempre.

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