Avere vent’anni: AC/DC – Ballbreaker
Fermi tutti: se Ballbreaker compie vent’ anni, allora io sono metallaro da vent’anni. Grazie, grazie, dite pure al barista che offro io. Ne vado particolarmente fiero perché non ho mai avuto il classico cugino o amico o fratello grande che mi ha introdotto alla cosa. Io ho sentito il richiamo. Non c’era alcun motivo contingente per cui dovessi iniziare ad ascoltare metal invece che house, rap o cantautori alcolizzati, né ci sono capitato per caso e nemmeno sono stato folgorato dopo che qualcuno mi ha passato la cassettina degli Iron Maiden, perché la prima persona che potesse definirsi metallaro l’ho conosciuta all’università. Semplicemente, un giorno sono uscito da casa e sono andato a comprare Ballbreaker. Non ne avevo sentito una nota prima, e a stento sapevo chi fossero gli Ac/Dc: avevo visto la pubblicità in televisione e qualcosa dentro di me si è svegliato. E quel piccolo pezzo di plastica rotondo è stato per me come un amuleto magico nella queste della mia esistenza, che mi ha aperto la porta verso un mondo che non sapevo esistesse ma in cuor mio speravo esistesse; un mondo in cui vivo tuttora, che mi ha molto probabilmente salvato la vita e che mi è essenziale per sopravvivere come l’aria per un palombaro che ogni tanto deve risalire su a respirare, altrimenti muore.
Vorrei tornare indietro nella mia cameretta di vent’anni fa per osservare il me stesso quattordicenne e guardare i suoi occhi mentre ascoltavano questo disco. È passato tanto tempo, riesco ancora a visualizzare dei momenti precisi, magari mentre facevo air guitar senza sapere di stare facendo air guitar, ma chiaramente non riesco a ricordare le esatte sensazioni che provavo; anche perché a 14 anni non sai ancora definire certe cose, e magari definisci in un determinato modo quello che poi da adulto definisci in un altro modo. This is the magic that a name would stain. E stavo lì, seduto, in silenzio, a sentire e risentire Ballbreaker fino alla nausea, fissando lo stereo, senza fare assolutamente nient’altro, come se il resto del mondo non esistesse, con quell’attenzione totale e completa che solo un quattordicenne può avere. Nel momento in cui l’ho sentito per la prima volta ho capito che quello era l’inizio di qualcosa che mi avrebbe cambiato per sempre, e ho preso a comprare riviste settoriali perché volevo assolutamente tuffarmi in quel mondo di atmosfere cupe e copertine colorate, assaporarlo fino in fondo e conoscerlo il più possibile, perché sentivo che quello era ciò che avevo sempre cercato. Il metal per me è arrivato come una liberazione, come se avessi finalmente trovato ciò che stavo cercando senza forse neanche sapere che lo stessi cercando. La mia esperienza personale mi ha convinto che il metal sia una propensione che non si sviluppa lungo la strada, ma che è presente sin dalla nascita. Insomma, ci nasci. A posteriori ti viene la consapevolezza di aver dato forma e sostanza a qualcosa che hai sempre avuto dentro, e che lottava per uscire, senza che tu ne sospettassi neanche l’esistenza, e che quindi ti lacerava l’anima senza che tu potessi fare nulla. Una volta che capisci cos’è, non puoi più farne a meno; perché quella cosa sei tu, è parte di te, e senza di essa ti mancherebbe l’aria.
Anche simbolicamente, è una fortuna che tutto ciò sia avvenuto per il tramite di Ballbreaker (oggi si direbbe che ne è stato il trigger), non solo perché è l’ultimo vero capolavoro degli Ac/Dc ma perché è talmente immediato che anche un quattordicenne completamente nuovo a questo tipo di immaginario può apprezzarlo. Ballbreaker in un certo senso è il grado zero dell’hard rock, e per me non lo è stato solo stilisticamente ma anche storicamente, diciamo. Alcune sette cristiane statunitensi ri-battezzano i propri membri per segnarne simbolicamente la seconda, e definitiva, venuta al mondo; per me questo è avvenuto con Ballbreaker. E tutto quello che è successo negli ultimi vent’anni lo devo anche a questo disco; tutte le persone che ho conosciuto, tutte le esperienze che ho avuto, tutte le scelte che ho fatto non sarebbero potute esistere senza ciò che sono; e ciò che sono lo devo, almeno strumentalmente, a Ballbreaker. Grazie a tutti, vi voglio bene.
Ci conosciamo per via di Ballbreaker, Sempre pensato fossi una rottura di balle! :)
p.s.
me la ricordo anche io la pubblicità in tv di sto disco!
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grandissimo, non ricordavo l’episodio. chissà le cose belle che penserai sui dischi posteriori, allora…
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Concordo sull’ultimo grande disco degli AC/DC, concordo alla grande. Invece per me l’entrata nel metal è stato un fenomeno di imprinting, come per la paperetta che esce dall’uovo e vede la mamma. Io sentii / vidi Use Your Illusion II dei Guns’n’roses. Merito di uno sconosciuto negoziante; mia madre chiese, 24 anni fa, cosa ascoltavano i ragazzi in quel momento (settembre 1991), e il negoziante le diede il CD, da inserire nel primo (e tuttora unico) impianto stereo comprato dai miei genitori. Negoziante, non so chi tu sia, ma il metallo ti abbia in gloria. Se le avesse dato, che so, un Ramazzotti…
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E vabbè, non tutti hanno l’esperienza di avere una strafiga disinibita come prima ragazza.
Io ho cominciato con il riff di “Cachemire” nascosto dentro “Come with me” di Puff Daddy (dite pure quello che vi pare…). È stata una lenta risalita.
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Bellissimo articolo! Anch’io ho sentito il richiamo, solo qualche anno prima, ma sempre con gli AC/DC (Fly on the wall).
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2003. mi faccio prestare fear of the dark da un mio amico che abitava nel mio stesso palazzo, metto il disco, parte be quick or be dead e ne rimango folgorato, dopo neanche 2 mesi compro metal shock con la loro intervista pre-heineken jamming festival(era il tour di dance of death) quindi posso dire d’essere cresciuto con voi, vi voglio bene.
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Hai descritto benissimo la sensazione dell’avere 20 anni e di come ci si è ritrovati ad essere metallari, qualcosa che si ha dentro, di cui prendi coscienza ascoltandolo la prima volta. Grande trainspotting.
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Mi sono rivisto esattamente nelle sensazioni e nell’evoluzione descritte…era il 1988 e acquistai “Appetite for destruction” dopo aver sentito “Paradise city” in radio.
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Primo maggio 1999, 14 anni e mezzo. Il mio compagno di banco mi fa sedere, mi mette le cuffie e parte “A new level” da Official Live: 101 Proof. Ho avuto culo. A new level, veramente.
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