Avere vent’anni: GAMMA RAY – Land Of The Free
Signore e signori, il power metal tedesco. C’è chi potrebbe obiettare a questa affermazione tirando fuori i Keeper, che stanno al power come i Black Sabbath stanno all’heavy metal: sono venuti prima, sono tendenzialmente migliori di tutto ciò che è venuto dopo e hanno ispirato il genere al punto che non c’è praticamente nulla nel genere stesso che non possa essere ricondotto a essi; ma è Land of the Free il vero manifesto del power tedesco, la sua pietra angolare, il canone essenziale fatto da chi il genere prima lo ha inventato (vedi sopra) e poi si è preso il lusso di ritornarci su dopo aver provato a nobilitarlo e aver capito che non c’è nulla da nobilitare. Land of the Free rimarrà il lascito ai posteri dei Gamma Ray pur non essendo forse neanche il loro disco migliore; ma è quello che li rappresenta di più, essendo il ritorno di Kai Hansen come frontman dai tempi di Walls of Jericho e l’ultimo prima del cambio quasi totale di formazione: dopo questo disco Dirk Schlachter passò dalla chitarra al basso e subentrarono Henjo Richter alla chitarra e Dan Zimmermann alla batteria, cosa che li ha resi più quadrati e meno fantasiosi. Land of the Free risulta tuttora più fresco rispetto ai successivi proprio perché mantiene ancora quell’ingenuità dell’era Scheepers, e al contempo è talmente pervaso dalla preponderante personalità di Kai Hansen da sembrare un nuovo inizio dei Gamma Ray, come se i tre dischi precedenti fossero opera di un altro gruppo. Da questo album si inizia a identificare la band con Kai Hansen; non dico come un suo progetto solista, ma quasi. Kai Hansen è come Ibrahimovic nel calcio: uno fortissimo ai livelli dell’alieno, ma che per funzionare dev’essere piazzato in un contesto in cui tutto gira intorno a lui, con gli altri componenti la squadra a fargli da piedistallo. Come disse Sconcerti, Ibrahimovic non è un giocatore: è uno schema. Ecco, Kai Hansen non è un semplice chitarrista né tantomeno un semplice cantante; e sicuramente può farti buoni assoli, o scriverti belle canzoni; ma tenerlo in formazione così, come se fosse un chitarrista qualsiasi, vuol dire tarparne le ali, utilizzarlo a un decimo delle sue potenzialità, castrarlo; esattamente come ridurre Ibrahimovic a semplice punta di sfondamento di quel Barcellona. Kai Hansen è uno di quei musicisti che hanno bisogno di tutto il palco libero per esplodere in tutta la propria magnitudine: e Land of the Free risolve l’equivoco dei primi tre dischi e ce lo restituisce come una delle ultime vere icone del metal europeo.
Land of the Free è anche uno dei motivi principali per cui ascolto power metal. Se qualcuno mi chiedesse perché ascolti power metal? io gli farei sentire una decina di dischi tra cui questo. In metà dei suddetti dischi ci suona Kai Hansen, comunque. Land of the Free è power tedesco al suo meglio: cori stragonfi da cantare in piedi sul letto col pugno in aria e lo sguardo rivolto verso il cielo, climax da prendere a testate il muro, birra in lattina, doppio pedale da fare male alle orecchie, assoloni con fischi e tamarrate pericolosissimi da ascoltare in cuffia mentre cammini per strada perché è difficilissimo rimanere impassibile, eccetera. Immagino abbiate presente. In questo disco ci sono cose letteralmente allucinanti come Rebellion in Dreamland, l’inno generazionale di quelli rimasti sotto col power metal nella seconda metà degli anni novanta (per la quale fu girato un video molto più corto rispetto ai nove minuti originali); Farewell, la ballata con Hansi Kursch che molti di noi hanno pensato almeno una volta di far suonare al proprio funerale; The Abyss of the Void, che non ho mai capito perché non sia diventata un loro cavallo di battaglia; Man on a Mission, forse il grado zero del power tedesco; e la mostruosa titletrack, che non riesco MAI ad ascoltare stando fermo, soprattutto quando intorno al secondo minuto spara quella cosa indescrivibile che fa hold your ground and I’ll show you the way / hold your head up haaaaaHAHAAAIIIIIGH che ti monta dentro e ti fa pompare il cuore a tremila con gli occhi che si gonfiano mentre ti senti in groppa a un drago a sputare in testa ai nemici del vero metal. La gente davvero non lo sa, cosa si perde. I Gamma Ray sono uno dei gruppi che più riesce a farti sentire in pace con te stesso e con il mondo, e se la gente li ascoltasse per mezz’ora al giorno probabilmente starebbero tutti più tranquilli e sorridenti. Invece ascoltano schifezze e infatti guardate un po’ che squallore che c’è lì fuori. Ma un giorno vinceremo noi, ne sono sicuro. Ne ho la certezza sin dalla prima volta che ho ascoltato Land of the Free: vinceremo noi; e il power metal prevarrà. Qualunque cosa ciò significhi. (barg)
Ci sono letteralmente cresciuto con quest’album (e i due successivi), e non posso non quotare ogni parola della rece dell’ottimo Trainspotting: dal paragone Kai-Ibra (ma Kai è più bello), all’esplosione di energia del bridge di Land of The Free, che davvero ha pochi eguali nel metal come emozioni sprigionate.
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Io sono arrivato su tutto con un paio di anni di ritardo: dei Rage ho conosciuto End of All Days, dei Blind Guardian Imaginations, dei Gamma Ray Somewhere out in space. Ricordo che quando è uscito Somewhere tutti erano impazziti e sui giornali scrivevano che il metal classico era tornato per rimanere. Ricordo che quel disco era una bomba, e ti chiedo: col senno di adesso, anche in virtù di quanto hai appena scritto, che opinione hai di Somewhere?
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quello è probabilmente il mio preferito, non fosse altro che per una questione affettiva. va da sè che l’espressione ‘non è probabilmente il loro migliore’ riferito a un album dei gamma ray non vuol dire che non è bello, ma che c’è qualcosa di ancora più mostruoso. in questo caso, appunto, proprio somewhere out in space.
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trainspotting profeta e sommo poeta del power metal tedesco.
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domanda: ma in sta rubrica è previsto anche qualcosa di death? che non siano le due righe per once upon e symbolic? no perchè a maggio erano usciti giusto un paio di dischetti di una certa rilevanza
(morbid angel domination 9 maggio 1995 \ suffocation pierced from within 23 maggio 1995)
tanto per sapere, eh! gentilissimi :)
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questo mese è stato molto impegnativo e dei dischi da te citati si parlerà nella multirecensione di fine mese, ma mi preoccuperò personalmente di sferzare gli alfieri redazionali del death metal con lo scudiscio borchiato che teniamo sempre da parte per quando la truppa batte la fiacca.
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bravo, sferzali generosamente!
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tra l’altro scopro ora che Battles in the North è del May 15th, 1995
loool ma che è uccesso quel mese?! XD
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grazie Trainspotting, io mi sono commosso
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Cavolo proprio stamattina mi sono svegliato con una gran voglia di ascoltare “Somewhere Out In Space”… Grandi ragazzi!
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tra loro e i blind guardian di imaginations, il 95 è stato veramente un anno d’oro per il power metal, forse irripetibile…
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La titletrack è un vero e proprio monumento al power metal, c’è tutto ciò che un fan possa chiedere Kai Hansen, Michael Kiske e Hansi Kursch nella stessa canzone, la mia personalissima trinità!
Indescrivibile invece la canzone dedicata a Ingo Swichtenberg, non saprei davvero da dove cominciare.
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“Afterlife” e’ uno dei tributi piu’ commoventi che abbia mai sentito…
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Bello
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Amen
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