RICHARD BENSON @Orion, Roma, 4.10.2014

bensonpalco

C’è gente che a trent’anni non sa fare una canna a bandiera, poi uno dice la crisi dei valori. Questo penso mentre vado all’Orion, in culo al mondo, col mio senso dell’orientamento nullo, il mio ippocampo degenerato. C’è questo tizio che prova a girarsi una canna a Stazione Anagnina, e sta sbagliando tutto. Non c’è più rispetto, neanche per le cose importanti. Crollo dei valori, degrado, piena decadenza educativa e morale. ISIS, basta parlare, vieni qua, abbiamo bisogno di una cinquina rovesciata in piena faccia. Le nocche sugli zigomi. Ebola, sii la nuova peste nera. Stazione Anagnina ormai è piena di militari, molte militari donne, militaresse?, non lo so, comunque incapaci, vuote ed aride come le loro fregne cespugliose. Bevono caffè, accanto alle camionette. Io aspetto l’autobus e mi chiedo se a fine concerto riuscirò mai a tornare a Roma, o se la mia pessima memoria spaziale mi costringerà a vagare per anni nei dintorni di Ciampino.

A Roma ogni tanto conosco ragazzi stranieri. La maggior parte sono couchsurfer che nel giro di una manciata di giorni vogliono godersi la Capitale e vederne le cose più belle. Quando mi chiedono dove andare, io generalmente non gli dico Colosseo o altri monumenti che hanno anche abbastanza rotto il cazzo, casomai li porto al Forte Prenestino (anche se non è più quello di una volta), oppure a Torpignattara dove c’è un negro che vende le Peroni a un euro; oppure Ariccia, così si sfondano di porchetta ed enormi quantità di vino rosso che non sono assolutamente in grado di gestire e quindi si ritrovano sbrattando l’anima dietro una macchina, contentissimi. Altrimenti li porto al Pigneto: negli ultimi anni il Pigneto è diventato il miglior posto di Roma, non scherzo. Per provare il brivido che si prova nei paesi tropicali, basta andare al Pigneto: non sai mai che tipo di diarrea sanguinolenta potresti prendere. Magrebini, zingari. Puzza d’aglio, piscio, sudore e merda già dalle 6 di mattina. Impagabile! Io appena arrivo in questa zona strapiena di negri mi spoglio nudo e comincio a correre urlando fortissimo: SAPORI DI CASA MIA!, prima di svenire rovinando al suolo. Zingari con l’alito di Moretti fracica alle 6 di mattina. L’immancabile lancio di vetri marroni targati Peroni. Una volta alle otto ho beccato un rumeno che s’è bevuto una Tuborg in due sorsate, l’unico rimasto al mondo a bere la Tuborg. Percepisco odio, per le strade. Ma non è un odio sano e violento. E’ un odio fuori fuoco, noioso, da anziani.

Una domenica mattina c’era Tamara, la tedesca, che smaniava di andare a visitare Roma. Voleva vedere i Musei Vaticani. Ma che cazzo te ne frega dei Musei Vaticani. Le ho proposto di accompagnare me ed il Sandro al Campidoglio, al matrimonio di un famosissimo chitarrista rock italiano. Ovviamente non le ho specificato nulla del soggetto in questione, non ho anticipato nulla, ero troppo curioso della reazione di un tedesco davanti a Richard Benson.

realismo poetico

Realismo poetico

Uno dei migliori Richard Benson, tra l’altro. Immaginatevi un tedesco che arriva al Campidoglio, la bianchissima pelle arrossata da un sole leggero, e vede questo mostro grasso, basso, gonfio, con la parrucca, che zoppica trainato al braccio da un negrone, urla stronzate, svita il bastone infernale mostrando una lama lucida iridescente che fende veloce l’aria mentre una cinquantina di persone sbraitano bestemmie e sventolano polli morti e fanno cori da stadio. Ad un matrimonio, al Campidoglio. Polletti interi e cosce di pollo. Chi è stato il primo a tirare un pollo a Richard? Chi è stato il primo a tirargli una cosa addosso? Ave a voi. In quel momento, in quel preciso istante, mentre Tamara cadeva in ginocchio, io lì cercavo di interiorizzare la sua espressione di totale basitezza, disepifania, sbigottimento e sconforto nei confronti della vita, le sue certezze cadevano, una parte di lei moriva, io, davvero, non sono mai stato così orgoglioso di essere Italiano. Pizza e mandolini, Dante e Michelangelo, Leonardo Da Vinci, torri di Pisa, lagune, Galileo Torricelli Evola Fermi Foscolo Leopardi vaffanculo. Non farti fregare. Essere ed apparire. Vita e forma. La guardavo negli occhi dicendole questa è l’Italia, questo siamo noi, Roma è negri e Richard Benson. E’ tutto qui dentro. Pirandello fammi una sega: negri e Richard Benson.

Lo spettacolino di Richard Benson dura un’ora. Non c’è più neanche un briciolo di spontaneità. Quella zoccola di Ester Esposito bestemmia Dio, mostra enormi seni cadenti, Richard si prende bombe di farina, yogurt e altre sostanze liquide in piena faccia. Ovviamente rido perché queste cose fanno sempre ridere. Ma non dura mai più di qualche istante, gran parte del concerto sono un estraneo. Non sono lo yin e non sono lo yang, sono la neutralizzante. Sto tra due forze opposte e le guardo. Una doppia esibizione di mostruosità umane. Ci sono queste due creature orribili, senza un briciolo di autostima, vecchi rincoglioniti che si denudano dietro una rete, dietro una gabbia. E un gruppo di gente che lancia uova, polli, pomodori, interiora di animale, birre annacquate a cinque euri l’una, a un certo punto scarpe e zaini. Il fascino viscerale della difformità. Fa errori la natura? O gioca? Richard è stanco della vita, è malato. Richard è quasi morto, respira male, ridendo mi chiedo se è così normale ridere di un anziano disabile e storpio che viene preso a merda in faccia e sempre ridendo mi rispondo . Poi gli urlo che è un frocio. Un pezzo di merda. Per tre volte si alza dalla sedia per andarsene dal palco. Per alzarsi dalla sedia ci mette tantissimo, trema, non ce la fa, Ester lo prende per un braccio, un tizio gli porta una stampella. Nel frattempo la gente alza le mani e fa ooooooooooooooooooooooooooolè per incentivarlo ad alzarsi.

Il concerto finisce a mezzanotte. Alle quattro di mattina sono a casa. Nelle orecchie sento ancora i cori del pubblico: FRO-CIO FRO-CIO FRO-CIO FRO-CIO. E’ stato bellissimo, è stato educativo.

 

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