La mensa di Odino #13

Ritorna dopo svariati mesi la mensa di Odino, la rubrica che vi suggerisce le migliori colonne sonore per barbecue ed eventuali bombardamenti nucleari. Parlando degli IRON SAVIOR, ci eravamo lasciati dicendo che The Landing era un po’ fiacco, ma con la certezza che potesse essere solo un passo falso: e infatti Rise of the Hero è un buon passo avanti. Sapevamo che nulla sarebbe cambiato, in prospettiva, perché fondamentalmente ci fidiamo di Piet Sielck e della sua passione per ciò che suona, cosa che è probabilmente la caratteristica fondante degli Iron Savior, il loro minimo comune denominatore e la vera motivazione per cui ogni loro disco continua a prendere bene nonostante (come ha già accennato il Carrozzi) i primi dischi siano comunque migliori degli ultimi. Piet Sielck e compari sono dei normali signori bonaccioni di mezza età, con l’aspetto di geometri e metalmeccanici, a cui piace suonare il metallo; ed è questa normalità che ci muove così tanto ad empatia verso di loro: alla fine rappresentano un po’ gli zii proletari e bonaccioni che da ragazzini stimavamo tanto e che pensavamo avessero capito tutto della vita. Ci sono ampie possibilità che avessimo già capito tutto allora.

Revenge of the Bride, ispirata a Kill Bill, dovrebbero insegnarla nelle scuole di power metal tedesco, che immagino sempre piazzate nel mezzo delle sagre del cosciotto di maiale arrosto nei paesini della foresta, con lunghe panche di legno il cui il capotavola fa fischiare la chitarra facendo a gara tutta la sera con l’altro capotavola a chi fischia più lungo, eccetera. Il resto del disco non cede di un millimetro, come si suol dire: riffoni con le chitarre grattugiate,  midtempo quadratissimi messi in punti strategici, e tutto l’ambaradam del metallo tetesco più genuino. Un’ultima menzione quantomeno per Fistraiser, consueto pezzo de metallo et de metallaribus, un’abitudine che diventa sempre più puntuale col passare dell’età e della consapevolezza di aver scelto la strada giusta. Sulla stessa falsariga Burning Heart, il cui video è l’esempio lampante di come puoi vivere il metallo anche a cinquant’anni senza bisogno di lustrini, paillettes e sguardi truci, ma solo di amici cazzoni con cui bere birra e fare i cretini quando le mogli sono andate in giro a fare shopping senza avere la minima idea di cosa si stanno perdendo.

I PERSUADER esistono ancora e questa è già una notiziona. L’ultima volta che hanno fatto uscire qualcosa giocavamo ancora a Snake sul cellulare. Io li sento un po’ miei perché nel 2004 su Metal Shock misi top album Evolution Purgatory, che mi spazzò letteralmente via. Quello poi è rimasto il loro vero capolavoro, perché il primo e il terzo sono gran bei dischi ma non a quel livello. Per The Fiction Maze è lo stesso discorso: è un gran bel disco, ma non è un capolavoro; resta sempre la cifra stilistica dei Persuader, che sono forse l’unico gruppo ad aver raccolto compiutamente l’influenza dei Blind Guardian, e ciò li ha fatti amare a tutti quelli che, come me, ai bardi di Krefeld hanno dato il proprio cuore. Se ci pensate è stranissimo: i Guardian sono uno dei gruppi metal dell’Europa continentale più amati degli ultimi vent’anni, tanto da travalicare lo stesso target di ascolto usuale del power metal, eppure non solo non esiste nessun gruppo che li abbia clonati, ma neanche qualcuno che li riesca a ricordare anche solo di striscio. A parte i Persuader. Questo soprattutto per la voce di Jens Carlsson e per i cori, ma va bene lo stesso: è pur sempre uno sfavillio di bellezza. Il periodo preso in considerazione è grossomodo quello di Follow The Blind/Tales From The Twilight Hall, ma comunque la maggior parte dei riff vi sarebbe fuori contesto. Ripeto, è più una questione di gusto per le melodie, di linee vocali, però probabilmente i due gruppi non riescono a essere troppo simili perché la diversa provenienza geografica riveste pur sempre una sua importanza.

Il disco è comunque molto molto bello, piuttosto variegato, e grossomodo sulla stesse esatte coordinate dei tre precedenti, e come i precedenti ha bisogno di molti ascolti per essere apprezzato davvero. L’opener One Lifetime è forse la mia preferita dell’album, ma è anche quella che ho ascoltato di più; e questa è un’altra caratteristica in comune coi Blind Guardian: entrambi hanno bisogno di un numero di ascolti molto alto rispetto alla media dei gruppi power metal. Così le varie Deep In The Dark, Insect, Sent To The Grave necessitano di un po’ di tempo per essere assimilate. The Fiction Maze rimane comunque uno dei candidati naturali per la playlist di fine anno.

Killhammer dei MYSTIC PROPHECY ci è già finito nella playlist di fine anno, però del 2013. Lo recensisco nonostante l’enorme ritardo perché merita parecchio. È un altro disco formalmente inattaccabile come il precedente: le canzoni funzionano tutte, i musicisti sono sempre sul pezzo, il cantante è una specie di versione alcolizzata di Jorn Lande (e la cosa in qualche modo funziona), la produzione è potentissima, fischi di chitarra a non finire, eccetera. Ci sono anche due videoclip (della title track e di To Hell And Back con tanto di gnugna) e due pezzi da menzionare più degli altri: la conclusiva Set The World On Fire, e 300 in Blood, che parla dell’omonimo film  e quindi insomma, cinquanta punti in più. Sempre degni di nota i testi su esplosioni atomiche, sgozzamenti e bazooka.

Ci si risente prestissimo per un’altra mensa. Preparate la diavolina. (barg)

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