BORKNAGAR // MANEGARM @Traffic, Roma, 13.03.2013

(Testi di Matteo Ferri e Charles, foto di Matteo Ferri)

manegarm

Fughiamo immediatamente qualsiasi equivoco sull’annosa questione dei ritardi tattici ai concerti, quelli tirati in ballo per evitare di dover stroncare un gruppo: giovedì sera siamo effettivamente arrivati troppo tardi per assistere all’esibizione degli Shade Empire e degli Ereb Altor, ma non per quella degli In Vain. Per non parlare male del gruppo black (?) norvegese, mettiamola così: se sono in giro da dieci anni e su questo blog non ne abbiamo mai parlato, un motivo ci sarà e non è soltanto per le loro simpatie cristiane.

Terminata la mezz’ora abbondante di indecifrabile miscuglio di generi degli In Vain, nel locale inizia a salire l’odore di birra, sudore e Odino che preannuncia la venuta sul palco degli svedesi Månegarm. Personalmente li attendevo con molto più entusiasmo dei Borknagar — che mi hanno discretamente deluso — anche perché avevo piazzato il loro ultimo disco in una posizione di riguardo nell’ultima playlist di fine anno e, a differenza di Vortex e soci, hanno tutta una serie di brani molto più adatti alla dimensione live. L’esordio, tanto per scaldare un po’ l’ambiente senza troppi fronzoli, è affidato alla title track di Legions of the North, uno dei pezzi più diretti e tirati del nuovo disco, che, ovviamente, sarà quello più rappresentato nella scaletta della serata, senza dimenticare qualche escursione nel passato più o meno recente del gruppo come Nattsjäl, drömsjäl e Sigrblot. I recenti cambi di line-up, con l’abbandono di Janne Liljeqvist al violino, orientano lo show verso sonorità meno folk, anche se non mancano i pezzi al limite del birraiolo come Hordes of Hel, che testimoniano la possibile direzione del gruppo, vicino a certe soluzioni e melodie quasi maideniane, molto più distante dal cupo viking/black di Nattväsen. La chiusura è affidata a due pezzi in completa antitesi tra loro: il recente singolo Sons of War, che fomenta il macello sotto al palco e l’epica Hemfärd, la mini suite presente su Vredens Tid che chiude buona parte delle esibizioni live dei Månegarm con il suo incedere epico che proietta tutti i presenti nella grande sala del Valhalla, ad ingozzarsi di cinghiale e bere idromele dalle tette della capra Heidrunn (Matteo Ferri).

Chiariamolo subito: l’accento cade sulla seconda sillaba e non sulla prima. Quindi Borknàgar e non Bòrknagar. Così è stato pronunciato dai diretti interessati.

icsWe are Manegarm from Sweden invece, a più riprese, è ciò che hanno voluto ribadire quegli altri, come a distinguersi dai norvegesi che venivano prima e quelli che sarebbero saliti sul palco poco dopo. Come dicevo al Mighi, chissà se pure gli scandinavi hanno il complesso di essere terroni rispetto a qualcuno. La prova dei Manegarm-dalla-Svezia è stata molto coinvolgente. Non mi hanno mai fatto impazzire su disco e non mi ero dato aspettative particolari dal vivo, e invece. Arrivano quegli altri con quell’espressione un po’ così che abbiamo noi prima di andare a Bergen. Qui mi aspettavo (e speravo in) un bel concertone da ricordare, e invece. Ferale notizia appresa pochi giorni prima: Vintersorg non parteciperà a questo tour. Ciò non significa – si erano affrettati a ribadire sul sito quando la novella fu resa di pubblico dominio – che il vocalist sia in procinto di lasciare la band ma che è molto impegnato nella stesura di nuove linee vocali (mah) e ha incoraggiato la band a suonare dal vivo con un sostituto allorquando, come in questo caso, egli non è disponibile. Il sostituto è un tale Athera, belloccio proveniente dai Susperia (MAH) e dai Chrome Division, il gruppo cazzeggio di Shagrath. Il concerto inizia, nei mille dubbi personali, corrispondendo alle attese di, credo, più o meno tutti i presenti: The Genuine Pulse. Empiricism è indubbiamente un bel dischetto ma non mi ha mai convinto nella sua interezza. Però, quei due o tre singoloni te lo fanno ricordare molto più di altri suoi successori. Peccato sia stato l’unico pezzo tratto da quel disco. Si continua, in ordine sparso, con una scaletta molto equilibrata: un paio di brani da Urd (Epochalypse e Frostrite) che, a quanto pare, è piaciuto così tanto solo a me; un paio da The Olden Domain (The Eye of Oden e The Dawn of the End), nei quali è ancora più evidente l’inadeguatezza di Athera from Susperia nel confronto, questa volta, con Garm; un paio da Quintessence (Ruins of the Future e Colossus che chiude la serata). Inoltre, ben tre dei migliori brani di The Archaic Course (Ocean Rise, Ad Noctum e Universal), album in cui maggiore è la presenza delle clean vocals di ICS Vortex (e meno male che è tornato), quindi minori i rischi di fare una porcata dal vivo. Tanto è vero che l’Athera, per un bel pezzo, letteralmente sparisce dalla scena e si confina nel back stage, per poi tornare verso la fine. Lode al giovanissimo, praticamente imberbe, batterista che si produce in una gragnuola di mazzate dall’inizio alla fine del concerto, con annesso drum solo verso la metà dello show. Rimango fino alla fine sotto al palco perché a me questi qui son sempre garbati tanto, compresa la fase Origin (l’album acustico che consiglio a tutti di recuperare), e volevo tributare loro la mia ammirazione facendo vedere a Vortex che sapevo quasi tutti i testi a memoria. La tensione collettiva sembra calata dopo la precedente performance e i miei sodali si danno alla macchia. Affianco a me resistono il prode Gabriele Hammerfall e il temutissimo Ferri, allevatore di cani di grossa taglia che egli sfama dando loro pasti fatti di carne di immigrato clandestino mista a croccantini Purina. Mighi, invece, è sparito stranamente molto presto. Credo sia stato colto da un raptus di malvagità e sia andato a bruciare qualche parrocchia del quartiere Prenestino, perché stasera Belzebù non si è manifestato a sufficienza (Charles).

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