FALKENBACH – Asa
Mi risulta sempre un po’ difficile mantenere un certo distacco quando si parla di Falkenbach, artista che seguo oramai dal lontano anno 1997, quando, in piena fissa per le produzioni della allora mitica No Colours Records, m’imbattei nel disco d’esordio del signor Markus Tummers aka Vratyas Vakyas, quel …En Their Medh Riki Fara… che, in coabitazione col suo successore, rappresenta ancora oggi, per quanto mi riguarda, il suo apice assoluto. Da questo punto di vista, Asa (questa volta uscito a “soli” 3 anni di distanza dal lavoro precedente) sembra voler ricalcare proprio le orme proprio del debutto. La prima cosa che si nota infatti è una componente black metal di gran lunga più accentuata rispetto alle produzioni precedenti, per via di una serie di brani tiratissimi in doppia cassa, che in Tiurida non avevano trovato alcuno spazio. In generale la componente prettamente folk metal di dischi com Ok Nefna Tysvar Ty (che continuo a ritener un capitolo a parte nella produzione Falkenbach), sembra stavolta essere stata messa leggermente in secondo piano, in favore di un sound più ancorato alle radici del musicista tedesco/islandese, quindi un pagan/black metal cadenzato, ipnotico e dannatamente evocativo come solo Vakyas è capace di fare. Come al solito Falkenbach riesce nell’intento di farti “vivere” nel vero senso della parola la propria musica, grazie a una serie di composizioni tanto efficaci pur nella loro semplicità a volte disarmante, sempre con quell’aura malinconica e melodrammatica di sottofondo che da sempre accompagna la sua musica. Già l’opener Vaer Stjernar Vaerdan potrebbe far chiudere baracca e burattini e mandare tutti a casa, canzone a dir poco favolosa, tra la più belle mai scritte dal Maestro, una triste ed epica cavalcata in mid tempo che ti trasporta con la mente in epoche antiche e dimenticate, con in sottofondo tastieroni pomposi ma mai ridondanti su cui si staglia la particolarissima voce di Vratyas. La sognante Mijn Larzt Wourd sembra sia direttamente uscita da Twilight of The Gods, mentre con pezzi come la micidiale Bronzen Embrace e Wulfarweijd, come già accennato, si spinge decisamente sull’acceleratore come nei bei tempi andati. Il resto del disco scorre via che è un piacere, non c’è una caduta di tono o alcun momento che ti farebbe voglia di skippare in avanti (la già nota Eweroun è un altro brano che parla da solo), 45 minuti di pura epicità nordica che devono essere da ennesimo esempio per chiunque voglia cimentarsi in questo genere.
Essendo malato di Falkenbach ho preso dalla Prophecy la kult book edition di 890 pagine, dove è presente un bonus cd di ulteriori 4 song inedite e non tra cui spicca la quasi commovente En Lintinbutin Faran (sia sempre lodato il copia/incolla), che, non so per quale arcano motivo, non sia stata inserita nel primo cd. Ovviamente l’invito è quello di fare proprio il quinto parto discografico di questo straordinario cantore di Odino, perché, per l’ennesima volta, non ce n’è per nessuno. (Michele Romani)
Ma che cosa si racconta in 890 pagine di libro?! Si tratta di un’epopea come quella appena annunciata di Ianva in tre volumi?!
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Spettacolare davvero. Onore ai magnifici Falkenbach e alla grandeProphecy che il giorno stesso dell’uscita dell’album prima l’ha messo tutto in streaming sul loro store e poi pure su Youtube.
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bella michè..ci mancherai!!
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Ho scoperto questo stupendo progetto proprio grazie a Heralding -The fireblade (consigliato da una recensione del grande metal shock, all’epoca), e sto ascoltando proprio ora l’ultimo, grazie a questa recensione. Grandi entrambi, Romani e Falkenbach!
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