Prendere a mazzate la gente senza motivo: SACRED STEEL – The Bloodshed Summoning (Cruz Del Sur)

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violenza

I Sacred Steel all’inizio li pigliavano per culo perché avevano questa vocina ridicola e andavano in giro con i chiodi borchiati proprio quando era di moda il revival del metal classico, quindi li credevano quattro ragazzini coglioni raccomandati o al limite un’operazione commerciale. Invece si sbagliavano un po’ tutti perché questi non solo ci credevano, ma probabilmente ci credevano più di tutti, e il fatto che sembrassero così sopra le righe e fuori posto era proprio perché stavano talmente di sotto con la roba anni ottanta da non concedere nessun tipo di compromesso, anche a costo di suonare fastidioso e ridicolo e grottesco. Una presa di posizione da veri Manowar che fa onore ai cinque mangiapatate capitanati da Gerrit Mutz, peraltro rimasti  più o meno sempre gli stessi. La cosa che faceva più ridere era la combinazione tra i testi violentissimi, una roba da far cacare sotto gli Immolation, e la vocina da gatto in calore di Mutz, che si approcciava all’interpretazione di testi tipo Carnage Rules the Fields of Death o Purified by Pain col vocino tipo Zecchino d’oro. Ma tutto questo è parte del loro spirito; e lo abbiamo capito col tempo, sia perché noi continuavamo a scoprire gruppi sconosciuti degli anni ottanta grazie alle interviste di Mutz, sia perché loro hanno continuato ad esistere, e a migliorare, laddove la maggior parte dei gruppacci dell’epoca si è sciolta come neve al sole dopo pochi anni, o ha cambiato genere, o ha cominciato a fare schifo. I Sacred Steel invece no: loro sono ancora qui a mangiare cinghiale e suonare heavy metal, pensando che sia non solo il modo migliore, ma l’unico modo di vivere la vita. Il loro suono si è gradatamente indurito, così come Mutz ha preso a cantare come un cantante normale; io li avevo persi di vista da qualche anno e mi ritrovo una specie di Slayer tedeschi che puzzano di crauti e cercano di uscire fuori dagli amplificatori per prendermi a calci in faccia finché non muoio. Se prima si limitavano a esporre  le proprie influenze, ora le riformulano. Questa loro fantastica verve nello scrivere di omicidi, aggressioni, sacrifici umani e bombe nucleari si è estesa anche alla musica e il tutto è diventato davvero una cosa parecchio aggressiva. Nel primo pezzo le persone vengono chiamate future corpses e in confronto i Primal Fear sono delle mezze checche anche se li battono in numero di fischi di chitarra. Non vorrei bestemmiare ma siamo quasi ai livelli degli Iced Earth di metà anni novanta, pure se i Sacred Steel in fondo si capisce che scherzano e che alla fine vogliono solo farsi un barbecue con te ascoltando la discografia degli Stormwitch fino a collassare nel proprio vomito in mezzo alle vacche in collina. Jon Schaffer invece non scherza mai; e possiede un fucile. Per il mio personalissimo parere, se The Bloodshed Summoning ti fa schifo hai qualche problema, o quantomeno hai una visione del metal opposta alla mia e non ricaverai mai nulla di buono leggendo una mia recensione ai Sacred Steel. Quindi vaffanculo. The Bloodshed Summoning è bello fondamentalmente per lo stesso motivo dell’ultimo Darkthrone, sia per una questione stilistica come ho spiegato io (ovviamente due generi diversissimi, ma molto simili in spiritu); sia, e soprattutto, per le stesse cose di cui ha parlato Stefano Greco qui. Ancora una volta, mi permetto di rubargli la chiusa: quando non mi piacerà più questa roba, sarà davvero finita. (barg)

Ps: e se volete proprio amarli, c’è anche la cover dei Misfits.

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