Haters gonna hate: LUCA TURILLI’S RHAPSODY // FREEDOM CALL // ORDEN OGAN @Orion, Ciampino 24.11.2012

Il mondo, ormai questo vi è chiaro, fa schifo. Va tutto male e siamo obbligati dallo stato di natura e dalla società ad affannarci come formiche, mettendo in secondo piano i nostri affetti e le nostre speranze, per il solo privilegio di continuare a sopravvivere e poter svegliarsi un’altra mattina al freddo imprecando contro la sveglia. Quello che rende la nostra vita più sopportabile della gente normale è che noi abbiamo il metallo. È un concetto espresso già molte volte, ma ritorna chiaro alla nostra mente durante il viaggio in treno verso Ciampino. Da una parte io e Ciccio, a vedere i Rhapsody con dei panini alla mortadella nello zaino e ripassando il video di Holy Thunderforce sullo smartphone; dall’altra dei ragazzetti coatti, che ascoltavano Rihanna e parlavano di passare il sabato sera al centro commerciale. Questi tizi non sanno che da qualche parte del mondo esiste Chris Bay, un supereroe col potere di farti vivere in un mondo di elfi e folletti che ti vogliono bene e ti portano cinghiale arrosto mentre tu non fai nient’altro che ascoltare il metallo. Per loro la vita si svolge secondo costanti che non prevedono l’attesa per il nuovo disco di Alex Staropoli e la ricerca delle differenze tra quest’ultimo e quello di Luca Turilli. Neanche sospettano che la loro esistenza diventerebbe immediatamente più accettabile, se solo lasciassero tutto e venissero con noi ad assistere a sei ore di power metal spinto. Si è convinto a venire anche Ciccio Russo, che ha abbandonato finalmente i suoi pregiudizi dopo anni in cui sfidavo la sua malcelata insofferenza continuandogli a parlare delle trombette dei Freedom Call. A differenza di Ciccio, i coatti hanno proseguito il loro viaggio in treno; ma davvero non sanno che si stanno per perdere.

Entriamo nel momento esatto in cui gli Orden Ogan iniziano a suonare. La gente non è moltissima ma sono appena le otto. I tedeschi sono un gran gruppo, io li conoscevo e li aspettavo con ansia, ma purtroppo non mi pare ce ne fossero altri come me. Sebastian, il cantante, va in giro vestito come un cattivo cyberpunk di Ken il Guerriero, con un enorme pezzo di pneumatico sulla spalla destra. Purtroppo l’acustica è tremenda e le canzoni si intuiscono appena, quindi non credo che oggi abbiano guadagnato molti sostenitori. Canto tutta We Are Pirates, loro sembrano divertiti di avere un fan così accanito e mi fanno ok col pollice. Poi quando decidono che devono cantare pure gli altri attaccano The Things We Believe In (dal nuovo album di prossima recensione) e insegnano il ritornello al pubblico, iniziando così il primo degli spettacolini d’intrattenimento della serata. In ordine sparso suonano To The End, Angels War, Dying Paradise, To New Shores Of Sadness.

Quando finiscono andiamo a prendere una birra e notiamo che c’è un sacco di gente solitaria. È chiaro che il power metal è un genere ormai finito nell’underground, e che questi sono venuti all’Orion da soli perché nessuno li ha accompagnati. Effettivamente io non ho quasi mai avuto problemi a trovare una compagnia per un concerto dei Napalm Death, mentre è la seconda volta che ho rischiato seriamente di venire da solo a un concerto dei Freedom Call. L’altra volta fu nel 2001, tour di Crystal Empire: suonavano di spalla a Virgin Steele ed Hammerfall e dovetti convincere la mia vecchia amica Polpetta, assolutamente non metallara, ad accompagnarmi. Si divertì moltissimo, Polpetta: non le piacquero molto i Virgin Steele, ma per quanto riguarda i Freedom Call mi chiese addirittura di farle una compilation, che immagino sia rimasto l’unico disco metal nella sua collezione. Oggi invece ad accompagnarmi ho Ciccio Russo, uno che pensava di aver chiuso col power metal dopo il diploma e che ora si approccia al concerto come un uomo di mezza età che viene accolto in una comune hippie californiana: è una cosa che contrasta con tutto ciò in cui ha sempre creduto, ma se si sta così bene senza i lacciuoli morali che ti impone la società allora vaffanculo tutto, perché no? 

Chris Bay entra con un gilet da tamarro e attacca di botto con Freedom Call. Ciccio sembra spaesato perché tutti ridono e cantano. Ma come, si starà chiedendo, siamo ad un concerto metal e la gente zompa e ride? Ha un mezzo sorriso imbarazzatissimo, e cerca di mantenere un contegno adeguato al suo ruolo di curioso venuto per dare un’occhiata e basta; ma non ci riesce perché inizia a piacergli sul serio, e questa cosa lo spaventa un po’. Arrivano Rockstars, Tears of Babylon, The Quest, Metal Invasion, Power &Glory: ogni canzone è una botta verso il punto di non ritorno, dopo il quale inizierà a chiedermi di passargli la discografia degli Edguy. E davvero sembra tutto bellissimo: in certi momenti mi guardavo intorno e pensavo quanto sarebbe stato divertente se tutti fossero vestiti da teletubbies, a saltellare sulle trombette dei Freedom Call. Parte Land of Light e sarebbe il delirio, ma devono tagliare per un ritardo rispetto al programma. Ci lasciano troppo presto. Ciccio afferma che quest’estate bisogna assolutamente andare ad un festival tedesco dove fanno solo power e classic metal. Poi dice: “Tranquillo, organizzi tu, non come l’altra volta”. È questa la forza del vero metal da osteria, amici. Ricordiamoci sempre che ogni volta che parlate male dei Freedom Call un piccolo micino viene brutalmente ucciso.

lo squartiamo e lo diamo in pasto al cane

Ora parlerò di una band e per convenzione la chiamerò Rhapsody. Questo avverrà anche quando dovrò parlare di un’altra band con Alex Staropoli e Fabio Lione in formazione. Ma adesso ci rivolgeremo agli headliner della serata chiamandoli Rhapsody, soprattutto per favorire la sospensione dell’incredulità, quindi è necessario che mi reggiate il gioco. I Rhapsody, insomma, montano la loro batteria megagalattica in un angolo del palco e al centro piazzano un grosso megaschermo e tante lucine e lucette. C’erano lucine colorate anche sul microfono di Alessandro Conti, il cantante. Dal megaschermo partono immagini fantascientifiche e inizia Quantum-X, l’intro dell’ultimo Ascending To Infinity, una roba fracassona con la voce narrante dei trailer cinematografici. Il tutto dovrebbe per l’appunto rendere un’atmosfera del genere, visto che il tour si chiama Cinematic World Tour e soprattutto visto che Turilli questa fissazione con le colonne sonore ce l’ha sempre avuta. L’effetto è un po’ alla pasta e fagioli, ma qui si è venuti per il power metal e quando attaccano con Riding The Winds of Eternity (da Symphony of Enchanted Lands!) il fanciullino ti scalcia da dentro e non fai più caso ai megaschermi e alle lucine. Suoneranno due pezzi da ognuno dei primi tre album: Forest of Unicorns, Dawn of Victory, The Village of Dwarves e la micidiale conclusione con la doppietta Emerald Sword/Warrior of Ice, che io mi ci sono buttato nel pit ma nessuno pogava davvero, perché tutti ridevano e cantavano.

tutti ridono

Alessandro Conti è un gran cantante e in cose come Son of Pain o Tormento e Passione lo ha dimostrato ampiamente. Fabio Lione l’ho visto dal vivo cinque o sei volte e non si è mai neanche avvicinato a questi standard. Tra un pezzo e l’altro Conti fa il mattatore, fa un po’ la parte di quello capitato lì per caso e in effetti è probabile che fino a pochi mesi fa gran parte del pubblico non sapesse chi fosse; mentre ora è lì a farci sentire per la prima volta Dawn of Victory cantata decentemente. Quando annunciano Excalibur riesumano questo sketch, secondo me un’idea che Turilli ha trovato divertentissima dopo essersi scolato una bottiglia di grappa durante i festeggiamenti per una vittoria della Triestina, e non vedeva l’ora che il tour passasse per l’Italia per farla. Turilli comunque è un idolo. Dell’Uomo parlo già in tre (uno due tre) articoli, non fatemi ripetere le cose. Comunque ogni volta che lo vedo suonare mi mette il buonumore. Ci crede un casino in quello che fa, sia l’assolo spettacolare di Holy Thunderforce sia il vocione tamarro dei trailer che annuncia le varie fasi di questa esperienza cinematografica che secondo lui stiamo vivendo. Qui quando partono i singoloni della carriera solista vanno a pogare pure gli unicorni. Dark Fate of Atlantis, Demonheart, ma soprattutto The Ancient Forest of Elves, una clamorosa frociata tutta in doppia cassa velocissima, coi cori da osteria, i riff da trattoria, il cantante ciccione che cinguetta felice e QUESTO video, uno dei più trucidi di tutti i tempi, con il ciccione a cavallo e Turilli che suona la chitarra elettrica in mezzo ai campi di marijuana. Il video si conclude con Turilli che distrugge la Luna sparando un’onda energetica da una spada. Era la prima volta che sentivo questa canzone dal vivo e mi sono emozionato. È una canzone bellissima, perfetta, stupida del tipo che in metà delle docce che farai in vita tua ne canterai il ritornello, e ogni volta ti ricorderai pure del tizio col cappuccio che parla con quella cazzo narrante di voce da trailer con un camino fumante sullo sfondo. La differenza tra il power tedesco e i Rhapsody è che Turilli non è legato al concetto di riff intorno al quale ruota tutta la produzione tedesca dagli Accept in poi. Concettualmente i pezzi dei Rhapsody sono davvero canzoni nel vero senso del termine, e, quando Turilli dice che la sua principale ispirazione sono i cantanti italiani tipo Celentano, non è così implausibile. La struttura dei pezzi spesso non segue il canone del metal continentale e priestiano, né tantomeno il ruolo dei singoli strumenti. Sono tutte melodie da canticchiare; la cosa si annacqua un po’ nelle parti di grandeur orchestrale, ma nei singoloni è un tripudio.

Mi viene sempre la parlantina quando parlo dei Rhapsody. Chiudo quindi la cosa ribadendo che l’acustica ha danneggiato anche gli headliner, e che c’era più gente di quanta mi aspettassi ma meno di quanta ce n’era ai Katatonia tre giorni prima. Alla fine del concerto sul megaschermo è uscita fuori la scritta STAY CINEMATIC. Fuori dal locale incontriamo tre tipi sui vent’anni che aspettano il taxi; due di loro sono calabresi, venuti a Roma apposta per vedere i Rhapsody: e sono felici e sorridono, perché li hanno appena visti. Ho menzionato che in primavera verranno i Korpiklaani a Roma e hanno organizzato la trasferta sul momento. Mi sono subito tornati alla mente quei ragazzini che ascoltavano Rihanna sul treno: se fossero scesi alla nostra fermata, ora avrebbero vissuto tutto questo, e magari anche in loro sarebbe nata una passione che li avrebbe portati a farsi mille chilometri per vedere un concerto di folk metal finlandese. Invece sono scesi alla fermata successiva e hanno passato il sabato sera al centro commerciale. La gente non sa che si perde, davvero non lo sa. (barg)

[per la galleria fotografica del concerto dei Rhapsody clicca qui]

19 commenti

Lascia un commento