EXTREME NOISE TERROR @XM24, Bologna 22.09.2012

La serata inizia nel migliore dei modi. E sì, perché se al di qua del Suffolk la band madre della serata dedicata alle sonorità pesantucce supponiamo sia solita inalare sostanze magiche in un fetido camerino in attesa del concerto, noi a Bologna preferiamo stare belli spaparanzati sul divano a mangiare focacce appena sfornate dai veri manowar della serata, ospiti impeccabili capaci di aggiungere stupore a stupore accogliendoci con musicacce metallare appena varcata la soglia di casa. Ma torniamo alle pizze e a quanto deve essere bello scaldare l’aria prima di un concerto in Italia con gente del Sud che sa cucinare veramente di tutto. Altro che regni uniti e stoccolme, c’è una vita da vivere, tanto vale fare dei bei manicaretti prima di tuffarsi nel sudore del punk.

A panza piena ci dirigiamo verso il noto centro sociale, questa sera più affollato che mai. Zaffate varie e tanti punk ci accolgono metri prima dell’ingresso.

Paghiamo, timbriamo le mani, salutiamo bella gente ed entriamo. Ecco: la prima cosa che sconvolge la mia percezione è che c’è davvero tanta gente, quindi le mie previsioni sulla frequentazione odierna dello squat si rivelano veritiere. All’epoca dei Nasum redivivi avevamo visto meno gente, segno questo che, certo, il grind piace un po’ a tutti, metalloni e punx, ma il culto rugginoso della band di Ipswich è in grado di richiamare veramente fan da ogni parte. La prova del nove è la notevole quantità di crustoni e punk di ogni dove in giro per l’ex mercato. Anche le distro sono tantille e folte di dischi toppe spille vinili daje supportiamo l’underground. Non compro nulla sulle prime, poi ci penso e inizio a ravanare. Beati siano quelli che ti rivendono i cd a 5-8 euro.

Gironzoliamo ansiosi e ci annoiamo in attesa che la vera sorpresa della serata si presenti: gli inascoltabili Agathocles. Solo ore dopo verremo a conoscenza dell’anticipazione del loro lordissimo show alla serata precedente, prima parte di una due giorni che ha visto sul palco persino Crash Box e Crunch. Chi ci ha dato la dritta ve lo dico solo dopo, cerchiamo di tenere in caldo la sorpresa della serata. Il problema è che avremmo tanto voluto chiacchierare con i belgi autori del cosiddetto mincecore. Ma quanto sarebbe stato bello che fosse realizzato un dialogo del tipo: – Ma voi siete gli Agathocles? Ma lo sapete che fate veramente schifo? e la band – Yes, we do! Ma è andata così, mannaggia. 

‘Dite che sono ingrassato?’

Mi perdo le band che suonano in apertura perché, si sa, la sala è bollente e dotata di due ventilatori (spenti) che hanno più dell’installazione museale che dell’elettrodomestico. Mi accorgo solo che i primi a suonare sono dei marcissimi punx con dreadlocks d’ordinanza che suonano un crustcore cadenzato e dilaniante, una roba di quelle che mainstream (si fa per dire) o underground che sia, risponde lo stesso alla chiamata alle armi di un certo sludgecore contaminato con crust e vattelapesca. Nulla che i Grief non abbiano già suonato quindici anni fa. È qui che coniamo l’epiteto perfetto per la band e  l’audience di riferimento: crustoni rallentoni.

Dopo i rallentoni è il momento di una band di onesto hardcore/powerviolence da balera-punk. È tutto un ridere e fingere di ignorare come mai a 40 anni ci si senta costretti a fare tour in giro per postacci come questo e magari non vendere manco una toppa. Ma è questo il bello.

Attendiamo altri estenuanti minuti quando (sarà stata l’una di notte) con la coda dell’occhio vedo Dean entrare dalla porta che conduce al minuscolo palco. Ci si fionda tutti, crustoni, punx, metallari, e vecchi fan modello coreano: quelli che sanno  a memoria tutti i testi di A Holocaust in Your Head e che rispondono rapidi come molle alle incitazioni del leader degli Extreme Noise Terror. Capiamo che c’è poco da resistere agli spintoni e pochissimo da lottare per un posto prossimo al palco e ci rifugiamo pertanto in fondo alla saletta, assieme a gente che quando io scoprivo i Limp Bizkit già aveva alle spalle i suoi begli anni di militanza squatterona.

Diciamolo subito, la band suona che in confronto i Nasum sono un quartetto d’archi per musica da camera, ammesso che quel che dico abbia qualche logica. E questo dal punto di vista tecnico: ecco perché gli svedesi piacciono tanto ai metallari e perché di metallari ce n’erano così a iosa: perché sanno offrirti uno show compattissimo e dalla resa sonora pulitissima, roba che quando attaccano sembra che in diffusione giri ancora la compilation di riscaldamento. Gli Extreme Noise Terror, al contrario, forti di una resa forse più fisica, più evidentemente a prova di uomo (provato da chissà cosa per chissà quanti anni) sembrano suonare tanto forte quanto ignorare instabilità del tutto. È tutto un marasma di microfoni che non funzionano, piatti sconquassanti, chitarre indistinguibili, e stiamo parlando di una band che non ha mai suonato realmente veloce per essere grind. Ma la forza del riff quadrato segna ancora, e allora non è affatto difficile riconoscere, in mezzo a quel casino, pezzi simbolo come Bullshit Propaganda o Another Nail in The Coffin. E qui che la band riesce a censurare ogni nostra accusa: quando riesce a riacquistare la credibilità che le si accorda normalmente su canzoni veloci ma non velocissime, su cavalcate anthemiche e assalti vocali feroci. Nel bilancio del sound Phil Vane sembra mancarci veramente tanto, eccome. Mannaggia.

È tutto un caos di suoni distorti e voci rauche che inneggiano alla rivolta e così, mentre mi aggiro ammirato e leggero come un bimbo in un parco giochi tra i Chomsky-punk, noto il caro Matteo, che se sapesse quante volte mi ha fatto fare tredici con le sue recensioni, credo arrossirebbe come un’eroina vittoriana.

Pacche, strette di mano e chiacchiere cordiali. La serata non poteva chiudersi meglio.

Chiudono ad orari antelucani i Kate Mosh, che dal nome avrete capito suonino powerviolence. Tiratissimi, pulitissimi e manco li visti in faccia. Scusate, ero dietro l’angolo a parlare con Matteo.

Al ritorno, scortato dalla solita leva, si ripete il rituale salutista di qualche mese fa. A casa mi attendono due burger di soia ed una succosissima, naturalissima, sincerissima mela. Frastornato come non mai, consumo quel pasto mentre cerco di rimanere concentrato sulla chiusura del cerchio grind-crust-valori positivi-Marchionne-che belli gli animali.

Il giorno dopo è un’italianissima domenica emiliana dal cielo un po’ fosco e dalle piazze semivuote.

La gente non sa che si perde.

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