ARCTIC PLATEAU – The Enemy Inside (Prophecy)

Uno che è riuscito ad arrivare con le proprie gambe a stringere un patto con una etichetta di tutto rispetto è Gianluca Divirgilio, deus ex machina degli Arctic Plateau. Sudore versato ma anche onore al merito, quello degli AP a dispetto del nome è un progetto musicale tutto italiano, che parte da Roma alla volta della tedesca Prophecy che, attenta alle novità e agli autori emergenti, non poteva esimersi dall’accoglierlo tra le proprie onorevoli fila. Presi benevolmente d’occhio anche da Fursy Teyssier dei Les Discrets, il quale ne cura l’artwork, vedono i loro percorsi intrecciarsi inevitabilmente: recentemente si sono proposti con uno split album che anticipa alcuni fra i brani più belli presenti sui nuovi album dei rispettivi gruppi, come ebbi occasione di accennare in tempi non sospetti. Gli AP, dopo On A Sad Sunny Day, sono oggi alla loro seconda prova con The Enemy Inside, un album vario, libero da legacci ed incasellamenti troppo stretti. Certo la proposta, come è facile intuire anche per chi non li conoscesse (ma se frequentate queste pagine con regolarità già avrete capito dove sto andando a parare), ruota intorno a quel post-rock ammantato di sonorità shoegaze, che tante soddisfazioni ci sta donando da un po’ di tempo, ma che fa anche da sponda alle gelide sonorità islandesi dei Sigur Rós. La successione dei brani non sembra apparentemente seguire un filo conduttore che non sia quello più caratteristico del genere, ovvero il lento e dolce fluire di eteree melodie. Gli stacchi repentini che col tempo abbiamo imparato ad apprezzare e che sfociano in una sorta di black metal ovattato qui mancano quasi del tutto, se non fosse per un piccolo accenno nella title track, dove la potenza vocale proviene dall’ugola di Carmelo Orlando dei Novembre, quasi a voler dimostrare un certo senso di affiliazione a quel modo oramai già stereotipato di intendere la malinconia, ma che sta lì a dire “ok ci siamo anche noi, ma vogliamo essere fondamentalmente altro”, e quindi con l’intenzione finale di staccarsene e crearsi una propria sfera. La continuità e il crescendo degli arpeggi dilatati si alternano a parentesi tipicamente pinkfloydiane, sostenute ritmicamente dalle pelli soft di Cesare Petulicchio dei Bud Spencer Blues Explosion, che accentuano la sensazione dell’essere persi in se stessi; in quello spazio interiore, gelido e infinito, dove risiede il nemico. Ascoltando queste note mi viene a mente Il Compagno Segreto di Conrad, tirato su nudo dal mare, assassino e naufrago: è l’immagine del proprio doppio, traditore, colpevole e consumato dai fantasmi interiori, ma al quale nonostante tutto si confidano i propri segreti e si garantisce incondizionata protezione. (Charles)

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