UNANIMATED – Ancient God of Evil (No Fashion, 1995)
[Seconda parte dello speciale Unanimated in tre parti, la prima la trovate qua]
Sarebbe proprio da raccontare (e prima o poi lo faremo) la storia dei primordi del death melodico svedese. Allora, oltre ai vari In Flames, Dark Tranquillity e At The Gates, si aggiravano nell’underground misconosciute band (ovviamente con molti membri in comune sia tra loro che con i coevi – e futuri – pesi massimi dell’asse Stoccolma-Goteborg) che diedero un fondamentale contributo alla nascita di quel sodalizio tra musica estrema e melodie maideniane destinato a diventare canone e influenzare financo l’aborrito metalcore. Gente come gli Eucharist, i Ceremonial Oath, i Miscreant. O gli Unanimated, i quali si distinguevano per una componente blackeggiante, non dissimile da quella che si può trovare negli Ophtalamia (qua manca però l’elemento sabbathiano peculiare della band del nano bastardo It), che rarefa lo Stockholm sound (la sezione ritmica è formata dall’ex bassista dei Dismember Richard “Daemon” Cabeza e da Peter Stjärnvind, un passato nei Merciless e un lungo futuro a tritare pelli con gli Entombed), rendendo unico e personalissimo questo loro secondo – e migliore – lavoro, uscito due anni dopo l’esordio In The Forest of the Dreaming Dead.
L’opener Life Demise, forse il brano più eclatante, è da colpo di fulmine: riff che badano più a creare atmosfera che ad aggredire stesi su un tappeto di doppia cassa; lo screaming grave del poi pressoché desaparecido (almeno fino alla recente reunion) Micke Jansson lanciato in una raggelante apologia del suicidio; i suoni caldi e inconfondibili degli Unisound Studios del mammasantissima Dan Swano (che all’epoca produceva dieci dischi al mese suonando, nel frattempo, in altrettante band, tra cui gli indimenticabili Edge Of Sanity), un feeling epico e negativo che rimanda al black più tetro. Del death melodico made in Sweden di allora ci sono invece la naturale eleganza delle chitarre (ciascuna delle quali è in grado di disegnare trame armoniche autonome ed efficaci senza pestare i piedi all’altra) e il puro saper scrivere canzoni essenziali ma raffinate. Prendete una Dead Calm: cavalcate laceranti, mid-tempo dalla solidità teutonica, stranianti rallentamenti gonfi di disperazione dove trovano spazio anche le tastiere, un’immediatezza disarmante. Perché la bellezza di Ancient God of Evil sta nella sua essenzialità. Zero fronzoli, zero pretese, solo nove brani da incorniciare, con un fulmen in cauda del calibro della spettacolare Die Alone che ti spinge inesorabile a premere nuovamente play. Tra i dieci dischi di death svedese che dovrebbero stare in ogni casa. (Ciccio Russo)
grazie ciccio, ti voglio bene come al solito
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in pratica andrebbe fatto il relics sulla w.a.r. compilation…io riuscii in giovine età a farmi dare da un amico il mitico “volume 1” (me lo regalò dicendomi “tanto sono tutti gruppi di merda…), non c’erano gli unanimated ma gli altri ci stavano tutti: in flames appena usciti da “lunar strain”, dark tranquillity che ancora dovevano fare “the gallery”, eucharist (“a velvet creation” è un altro di quei dischi da far rivalutare al mondo intero), miscreant, katatonia ai tempi di “for funerals to come…”, i dissection che coverizzavano i tormentor… tutto quel ben di satanasso rappresentò un non indifferente punto di svolta nella mia vita di ascoltatore. ancora una volta, bisognava nascere dieci-quindici anni prima porcatroia
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sottoscrivo il relics per tutta la wrong again recs. o in alternativa un’analoga operazione per gli altrettanto dimenticati eucharist.
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Che disco della madonnaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!
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Direi che è ora di celebrare “In The Light Of Darkness”, e quindi di scrivere il terzo capitolo…
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