FUCK THE FACTS – Die Miserable (Relapse)

Ai FTF sono grato essenzialmente per aver prodotto il disco precedente a questa nuova uscita, ovviamente tacendo degli split ed Ep scivolati di mezzo (tra l’altro, tipico del grind pubblicare un Full Lenght ed un Ep assieme). Fatto sta che tempo fa questo gruppone canadese (francofono come i Voivod) è stato adocchiato dalla Relapse dopo anni di autoproduzione, squat e follia grindcore (ma VERA follia, tipo incidere dischi di solo rumore bianco) e dopo aver assoldato la crustissima Mel Mongeon, cantante dalla voce abrasiva, firma con la indie di Philadelphia un contratto che li porta a quello che è sostanzialmente il loro disco di apertura al mercato globale (si fa per dire). Epperò, quello Stigmata High-Five invero a me faceva un po’ schifo dato che avevo preferito nel complesso la disarmonia e la produzione sicuramente più scadente del loro precedente full lenght, cioè Backstabber Etiquette. Tra i due vi sono degli anni di distanza, qualcosa come due-tre anni sicuro (scusate ma vado a memoria). Il primo ha il suono più curato e porta una generale omogeneità nelle scelte del songwriting optando per un arrangiamento che punti a far esaltare le facoltà dei membri del gruppo impegnati in quel noioso tipo di grindcore un po’ math, un po’ noise, un po’ strambo, un po’ intellettuale, un po’ fate voi. Il secondo suona come un demo pur non essendolo: produzione abbastanza brutta, suoni scadenti, una generale disomogeneità nelle scelte compositive, voce filtrata, batteria-fustino, immaturità stilistica a valanghe.

Ma ha anche difetti.

Ora – scusate ma continuo ad andare a memoria sennò siamo tutti webzinari – Stigmata High-Five era le stesse cose che ho scritto due righe sopra ma con più cognizione di causa e in maniera decisamente professionale, come se il tutto dovesse a tutti i costi tradursi in una nuova formula del grindcore/math/fatevoi che a quei tempi la Relapse spingeva sul mercato europeo e americano puntando però anche su veri e propri assi come i Dillinger Escape Plan (che amerò solo e soltanto per un disco, che volete farci). Tra le righe leggerete sicuramente che a me della cognizione di causa non frega niente e che se fai grind è tutto sommato giusto che IL BASSO NON SI SENTA. Soprattutto se siete veri fan del grind non potrete non apprezzare l’anima sinceramente hardcore di questi fricchettoni fuori tempo massimo, altro che disco maturo. 

Che a dirla tutta poi, la maturità l’hanno raggiunta solo dopo con un disco che si mangia tutto il resto (e, fidatevi, c’è da impazzire tra split e altro, dato che i FTF da questo punto di vista sono peggio degli Agathocles). Questo disco si chiama Disgorge Mexico e se non fosse che all’epoca scrivevo solo sul mio diario del cuoricino e non si una testata metal di scoppiati, l’avrei messo in una ipotetica top five, ma pure top three. È veramente un gran disco, abile nell’offrire un suono omogeneo, compatto, con delle chitarre bollenti e torrenziali e finalmente un nuovo gusto nella sistemazione delle suggestioni più desuete. Tutto finalmente confluisce in pezzi duri e convincenti nei quali spicca sempre più la dose giusta di melodia, una melodia squartante, qualcosa che rubacchia un pochino al metal classico e al post-hardcore quel tipico senso di abbandono e disfatta e lo fa suo in un mix di violenza controllata. Insomma, un pezzo come ABSENCE AND SPITE prende qualcosa, che so, ai Converge più catartici e lo butta in un marasma tecnico di riff death-grind. Insomma, la formula è nel groove. Ma non solo, il disco è pieno di pezzi come quello citato. Cioè, non ti fa mai male la testa dopo un disco dei FTF come questo. E diciamo pure che questo standard riescono a mantenerlo tale con altre prove successive (sempre Ep e split), ma forse non con questo disco.

Il nuovo disco, Die Miserable (sì, coi titoli i FTF fanno sempre un po’ pietà) mi ha procurato effetti contrastanti. Al primo ascolto mi piglia malissimo, pare rimangiarsi quanto di buono avevano prodotto prima. Lo riascolto a qualche giorno di distanza e ne colgo la cupezza eccessiva, la violenza spossante e la lunghezza delle tracce. Convengo infine che si tratta di un disco fatto un po’ per mostrare lo stato di grazia della band, ora matura, tecnica e innovativa. Ma il tutto non regge. Insomma, tra Brutal Truth, Fuck The Facts e Lock Up sembra veramente un anno negativo per il grindcore.

Ma la semi-rivelazione arriva sulla lunga distanza ascolto. A parte un volatile senso di Europa nel bilancio generale del disco (la virata sul death-grind un po’ più ortodosso è ormai evidente) e a parte l’osceno rullante usato ad uopo, il piattume sonoro riesce comunque a garantire un minimo soddisfacimento in termini di impatto.

All’inizio del papiro ho detto di un Ep pubblicato in corrispondenza del full lenght. Ecco, forse è meglio orientarsi su quella roba perché a sto giro i FTF hanno deluso un pochetto. Oddio, anche lì forse c’è un po’ troppa fuffa ma, si sa, agli Ep è sempre concesso un tantino di divagazione in più e il tiro è sicuramente maggiore. Magari lo recensirò nello spazio che dedico al nesso soia-vegetarianismo-grindcore.

Abbonàtovi, nonostante tutto.

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