GRAVE DIGGER – The Clans Will Rise Again (Napalm)

Avevo perso di vista i Grave Digger dai tempi di The Last Supper: la piega presa non mi incuriosiva, e ho smesso di seguirli. La defezione dello storico chitarrista Uwe Lulis, in favore del pur bravo Manni Schmidt, ha secondo me fatto iniziare il lungo declino sul declivio del tirare a campare; adoro invece Macbeth, il primo disco dei Rebellion, la band fondata da Lulis dopo lo split, che ai tempi dell’uscita innalzai anche a Top Album su MS. Questo presunto seguito di Tunes Of War è stato però talmente strombazzato che mi è venuta voglia di sentire quantomeno di cosa si trattasse. Scopro così che nel frattempo non solo lo stesso Schmidt è stato allontanato, ma anche che il gruppo principe dei cori da osteria, riff da trattoria è passato alla Napalm Records: un po’ come quando la Century Media iniziò a mettere sotto contratto gruppi power metal.

La sbobba è comunque quella: metallo tetesco da pugno volante e piede battente, epico, immediato e burino, ideale sottofondo a una mangiata all’Antica Birreria Peroni a base di birra e grigliata di carne di maiale. Non c’è neanche bisogno di precisare che a Tunes Of War non ci si avvicina manco di striscio, anzi diciamo che ci va lontano come un ipotetico tiro in porta da trenta metri di controbalzo in acrobazia dell’immortale Ivan Ramiro Cordoba. C’è qualche canzone carina: ad esempio Paid In Blood ha un bel respiro ottantiano, metallo classico tetesco come si deve, con ritornello perfetto da cantare ubriachi (anche perché il testo è sempre quello: they will never take our freedom, they will never take our pride e poi cose tipo rise of freedom, fight for glory, lead to victory, flag of Scotland, never surrender eccetera). Oppure Hammer Of The Scots e Rebels, veloci, belle tamarre e trascinanti. O ancora la cadenzata titletrack, una specie di Savatage (periodo Handful Of Rain) dei poveri, e Valley Of Tears, un midtempo ben strutturato e coatto con gusto, diciamo.

Il fatto è che dopo Knights Of The Cross sono diventati, e neanche tanto gradualmente, piuttosto trascurabili. All’epoca attribuii alla moda del power metal questa deviazione verso il doppiocassismo trullallero trullallà, e mi sa che ci avevo pure abbastanza preso. Alla fine le cose migliori le hanno fatte al debutto (Heavy Metal Breakdown è un buonissimo disco di metallo birraiolo) e in quei due-tre lavori a metà dei novanta. Anche qui, in quest’ultimo album, a parte la spaccosissima Hammer Of The Scots non c’è nessuna canzone che consiglierei caldamente: tanto mestiere, tanta accademia, poco altro. Non che non funzioni: ma non c’è quella cosa che ti prende da dentro e ti fa sentire felice di ascoltare sta roba, come accade per una qualsiasi b-side sbagliata e sfigata degli Accept, per dire. Quello di cui adesso mi preme di parlare è il mirabolante video di Highland Farewell, tra parentesi uno dei pezzi meno riusciti del disco: 

Dunque allora. Loro stanno suonando in un prato verde. C’è un anziano signore con la pappagorgia vestito da scozzese che suona la cornamusa poco convinto, con su scritto in fronte che s’ha da fà per campà. Compare una famiglia che gioca in un parco. Da una collina si avvicinano tre loschi ciccioni. Parte il riff di Heavy Metal Breakdown e Boltendahl, per esternare la sua gioia, prima tenta di sparare un’onda energetica verso la telecamera e poi si mette in posizione di difesa aikido, tipo Steven Seagal.

posizione di difesa aikido

I loschi ciccioni rapiscono il bambino alla giovane coppia di attori. Poi ci sono un po’ di scene di battaglia con armi di plastica ed armature di alluminio, tutte rigorosamente girate con una fotografia diversa da quella delle riprese di loro che suonano. A un certo punto c’è una scena che NESSUNO avrebbe mai voluto (o TUTTI avrebbero sempre sperato di) vedere: Chris Boltendahl con il facepainting di Braveheart. L’anziano signore con la cornamusa e la pappagorgia è fermo in piedi sullo sfondo, visibilmente imbarazzato. Quando riprende a suonare ha vergogna, gli occhi gli si muovono in ogni direzione, il cipiglio è corrucciato, spera di riuscire a nascondere la cosa ai suoi amici del club della birra trappista, che mai si sarebbero aspettati di vedere il loro sodale che partecipa ad un video di capelloni di mezza età in posa plastica, per di più indossando una gonna. Chris Boltendahl, truccato come Mel Gibson, mena fendenti con la spada di plastica, facendo le smorfie. Il tastierista, vestito come la Morte, gira per il campo di battaglia guardandosi intorno e agitando le braccia in modo epico e maligno: sottilissima allegoria della vacuità della guerra, e di come alla fine ne escano tutti sconfitti, tranne la Morte stessa. Me cojoni. Chiusura con la Morte unica rimasta in piedi, in un mare di attori stesi per terra, che guarda in camera. Gli occhi le si illuminano di rosso. Dissolvenza. La gente non lo sa proprio, che si perde. (barg)

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