DECEASED – Surreal Overdose (Patac)

Il loro esordio del 1991, Luck Of The Corpse, fu la prima produzione in assoluto della Relapse. Già questo basterebbe a consegnare alla storia il nome dei DECEASED, una formazione per la quale l’appellativo di cult band può essere utilizzato, una volta tanto, non a sproposito. La storia dell’act capitanato dal cantante e batterista King Fowley è un’epopea underground fatta di coerenza inattaccabile e devozione totale a un suono evolutosi negli anni ma sempre orgogliosamente inattuale e attaccato alle radici, ovvero le uniche cose che davvero contano per chi questa musica la ama davvero. Uscito in sordina qualche mese fa a sei anni dal precedente As The Weird Travel On, Surreal Overdose, sesto full della gioiosa macchina da guerra statunitense, è un’autentica, irrinunciabile madeleine che non potrà non suscitare commozione in chi, come loro, è rimasto legato a un determinato modo di suonare, concepire e vivere il metal estremo.

King Fowley, una persona seria

Parte l’opener Skin Crawling Progress, che in sei minuti caccia fuori più spunti e idee di quanti altra gente non ne riversi in un’intera discografia, e non ci si crede. QUESTA musica, suonata COSI’, nel fottuto 2011. Lacrime. E non siamo di fronte a un autoreferenziale divertissement per nostalgici ma a un gruppo che ha sempre proseguito diritto per la propria strada facendo ciò che voleva e meglio sapeva fare: un thrash/death tecnico e dall’impatto irresistibile, sospeso in una zona (a)temporale a cavallo tra ultimi ’80 e primi ’90, che non smette mai di piacere e coinvolgere. Gioiellini come The Traumatic e Cloned (ci sono pure i cori da stadio!), dove una furia di marca slayeriana erompe da intricate trame di chitarra degne dei Nocturnus e assoli e melodie dal sapore classico, sono di quei pezzi che riescono a riconciliarti con l’heavy metal dopo anni di reunion farlocche, album tutti uguali e nuove tendenze che fanno solo venire voglia di darsi al jazz. E il titolo dell’ultimo pezzo, Dying In Analog, sembra quasi una dichiarazione di intenti. Perché è così che voglio morire, vaffanculo, un bel colpo secco mentre sto ascoltando il vinile di Seven Churches con il posacenere pieno e una bottiglia di Johnny Walker in mano mentre dall’altra stanza la badante ucraina (la batterista dei Semargl, ovvio) mi urla di abbassare quel casino. Questo è il metallo che più sentiamo come nostro. Tra i dischi dell’anno, per principio. (Ciccio Russo)

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